La crisi di Eurallumina sta per arrivare a un punto di non ritorno. Quattro lavoratori sono saliti sul Silo n.3 dello stabilimento per protesta e chiedere alla politica una soluzione tempestiva. Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Cgil Sardegna, Fausto Durante, per fare il punto sulla situazione. Per il sindacalista, se la politica non interviene con risorse immediate , l’azienda è destinata a fermare gli impianti. Per Durante, oltre le risorse, bisogna guardare nel lungo periodo e intervenire direttamente sulla crisi energetica che colpisce tutta Italia, in particolare le imprese più energivore come Eurallumina.
Durante, gli operai sono ancora sopra la torre di Eurallumina, quali sviluppi da parte della politica?
Abbiamo letto una dichiarazione della presidente della regione Sardegna, Alessandra Todde. Dice di avere affrontato il tema Eurallumina con il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e di avere registrato la disponibilità a trovare una soluzione. Ovviamente è una dichiarazione che, almeno per il momento, è di buon auspicio.
Ma?
Non contiene la certezza di impegni, sia del Mimit o del MEF, ad anticipare l’incontro che è stato previsto per il 10 dicembre. Soprattutto non c’è ancora la certezza sul fatto che il Comitato di sicurezza finanziaria sblocchi le azioni e ci sia la volontà del Ministero dell’economia di mettere le risorse necessarie per poter superare il 31 dicembre.
I lavoratori che sono saliti sulla torre come hanno reagito a queste novità?
I ragazzi che sono sul sito adesso stanno valutando questa dichiarazione, però insomma ci sarebbe bisogno di qualche impegno un poco più concreto.
Quante risorse servirebbero per sbloccare la situazione?
La somma complessiva dell’investimento presunto che Eurallumina dovrebbe investire è 300 milioni di euro, ma non stiamo certo chiedendo al Mef una tale somma. Vorremmo che l’operatività mensile si possa sbloccare, quindi parliamo di un paio di milioni di euro, e che queste risorse vengano messe a disposizione di chi attualmente sta gestendo e amministrando l’azienda. Certo, questo passaggio è un po’ un pasticcio.
In che senso?
In realtà adesso, con la questione del congelamento dei beni e degli asset di Rusal, la gestione dell’azienda è in capo a l’Agenzia del Demanio. Tradotto, è in mano a funzionari, tecnici, che di tutto si occupano meno che di come si gestisce un’azienda. Quindi può immaginare la complessità di dover mandare avanti quell’impianto industriale facendo i conti ogni giorno con funzionari e tecnici del demanio, che devono autorizzare persino i singoli bonifici delle buste paga dei lavoratori. Capisce che la situazione è completamente anomala e andrebbe risolta.
Una situazione che è la legge stessa a stabilire, è corretto?
Si esattamente, è la legge che stabilisce tutto questo. Siamo in presenza di un attività che è sottoposta al regime sanzionatorio: la proprietà è in questo momento spogliata della possibilità di gestire direttamente il bene e viene dunque gestito attraverso l’Agenzia del demanio. Questo è un primo problema.
Il secondo problema?
La Rusal, azienda russa proprietaria del sito, ha detto che fino al 31 dicembre garantiscono, ma dopo il 31 dicembre non metteranno più, ogni mese, i soldi che servono per andare avanti. Cioè per pagare gli stipendi, dare le integrazioni alla cassa integrazione e per continuare a tenere gli impianti in esercizio, fare la manutenzione e continuare nel lavoro di bonifica. Ecco perché serve il finanziamento da parte del MEF: per andare avanti da qui fino alla fine dell’anno.
E dopo questo finanziamento come ci si dovrebbe muovere?
Questo è un punto su cui vorrei mettere l’enfasi: servirebbe capire e ridiscutere questa decisione del Governo italiano di continuare a mantenere il regime sanzionatorio per la Rusal. La stessa azienda ha altre attività, anch’esse legate al settore primario, in vari stabilimenti: Germania, Svezia e in Irlanda. Però i Governi di questi tre Paesi hanno deciso, in deroga alle scelte che hanno fatto più in generale per le sanzioni alla Russia, che a quegli stabilimenti i beni non venissero congelati. Quindi noi siamo in una situazione del tutto peculiare e paradossale. Dei quattro siti Rusal in Europa, tre lavorano regolarmente e uno, quello italiano, ha il problema del blocco dei beni. Insomma si dovrebbe affrontare questo aspetto, anche perché l’Unione europea è la stessa per tutti i governi.
Come è possibile che questi tre Governi aderiscano al regime sanzionatorio alla Russia ma riescano a tenere operativa l’azienda russa?
Perché hanno riconosciuto carattere e valenza di natura strategica di quelle produzioni, quindi in nome di un superiore interesse nazionale. È vero che gli stabilimenti sono di proprietà russa, ma comunque producono beni essenziali per le economie di quei Paesi e hanno dunque deciso di non congelare i loro beni. Forse il Governo italiano dovrebbe valutare la possibilità di seguire la stessa strada del governo tedesco, svedese e irlandese. Questo permetterebbe di superare i problemi e il blocco che si è determinato.
Quindi basterebbe che il nostro Governo reputi lo stabilimento come “interesse nazionale” e fine di gran parte dei problemi?
Si. Sono stato a trovare i lavoratori che stanno sopra il silo, ho fatto anche un’assemblea con i loro colleghi che ogni giorno, dai cancelli della fabbrica, li supportano. Ho visto molta frustrazione tra i lavoratori del Sulcis per questa disparità di trattamento. Non si capisce perché questa realtà, che riguarda allo stesso modo i governi di tutti i Paesi europei, venga affrontata in maniera così differente tra il Governo italiano e gli altri Governi. Delle due l’una: o c’è una linea politica comune di tutti i Paesi europei al problema delle sanzioni, anche nei confronti di stabilimenti di valore strategico, oppure non c’è.
A quanto pare sembra che non ci sia questa linea politica comune europea.
Allora, se non c’è, è bene che ognuno faccia prevalere il proprio interesse nazionale: ma allora perché il nostro Governo non lo sta facendo?
Forse perché il Governo italiano non reputa di interesse nazionale il nostro stabilimento?
Non sembra proprio, anzi devo dire che presso al Mimit sono attivi tre tavoli specifici per il Sulcis, cioè Eurallumina, Portovesme S.r.l. e l’ex Alcoa. In più è attivo il tavolo generale sul Sulcis, che comprende anche l’indotto, cioè le aziende metalmeccaniche, edili, della logistica, che fanno da supporto alle attività industriali principali. A parole, il ministro Urso ha sempre detto che tutte le produzione del polo di Portoscuso, quindi piombo, zinco, alluminio, allumina nel caso della bauxite trattata da Eurallumina, ha carattere e valenza strategica per l’Italia. Tant’è vero che Urso è venuto addirittura nel Sulcis il 27 dicembre dell’anno scorso interrompendo le sue vacanze di Natale, e in quella occasione si era impegnato, davanti ai lavoratori di tutte le fabbriche della zona, dicendo che il governo avrebbero rilanciato il polo industriale del Sulcis; salvo poi, nove mesi dopo, dire che non c’erano più investitori disponibili o che il governo non è riuscito a trovare nessuno.
Perché non si trova nessuno?
C’è molta difficoltà a trovare investitori che vogliano subentrare alle multinazionali che stanno lasciando perché sono tutte aziende altamente energivore e l’energia, oggi in Italia, costa troppo. Qualche giorno fa è uscito un articolo sul Sole24Ore in cui si spiegava che il Governo tedesco ha deciso di bloccare a 50€ a megawattora il costo dell’energia per le aziende energivore. Ecco, un’azienda in Italia oggi paga quasi il triplo di 50€. È evidente che stiamo andando fuori mercato. Tutto questo non riguarda solo le aziende del Sulcis, che però sono particolarmente energivore, riguarda il sistema industriale di tutta Italia.
In particolare in Sardegna esiste un problema energetico legato all’assenza del metano
Si infatti, stiamo affrontando il tema della Eurallumina che deve rilanciarsi e deve approvvigionarsi di energia termica attraverso il metano che ancora non è stato fatto arrivare sull’isola e che dovrebbe arrivare ora che il DPCM Sardegna è stato sbloccato dal Governo Meloni. Però resta il fatto che se una qualunque impresa italiana, non solo quelle che stanno in Sardegna, deve pagare l’energia tre volte quello che paga un equivalente competitore tedesco, mi pare evidente che sia fuori gioco. Rischia di non esserci più il contesto adatto a fare industria in Italia.
Possiamo permetterci di tagliare il costo dell’energia, per legge, alle imprese energivore?
Beh, la Germania ha talmente tanto avanzo di bilancio che può permettersi di fare queste politiche. Però la Spagna ha disaccoppiato dal primo momento il prezzo del gas da quello dell’energia. Questo ha permesso alle aziende energivore spagnole di avere risparmi in bolletta molto consistenti. Tanto è vero che dal momento in cui è scoppiata la guerra del gas, la Portovesme S.r.l., di proprietà della multinazionale Glencore che a fianco dell’Eurallumina produceva fino a non molto tempo fa piombo e zinco, sa dove ha deciso di portare queste produzioni?
Dove?
Non in Paesi a basso costo o nel terzo mondo: in Spagna e in Germania. Le ha portate lì perché ha ovviamente una convenienza a utilizzare gli stabilimenti in cui il costo dell’energia è molto più basso.
E l’Italia non potrebbe imitare l’esempio spagnolo?
Certo, questa è una misura che il Governo italiano avrebbe dovuto prendere già 5 anni fa. Dal momento dell’esplosione del prezzo del gas, cioè quando si è deciso di non prendere più il gas dalla Russia, o si disaccoppiava dal costo dell’energia oppure la bolletta era ed è destinata a salire, arrivando oggi a costi insostenibili. Purtroppo le aziende italiane stanno subendo il peso di questi costi per l’energia elettrica derivante dall’assoluta inerzia, in questo settore, del governo italiano.
Questo sta mettendo fuori gioco molte imprese di carattere energivoro?
Guardi che cosa sta succedendo nel settore della carta, vetro, ceramica, cemento e poi negli altri due settori su cui l’Italia prima aveva un ruolo tra i protagonisti a livello mondiale: l’automobile e la siderurgia. Quest’ultima sta lentamente scomparendo dal panorama industriale italiano. Non molto tempo fa l’Italia era tra i primi sette produttori mondiali di acciaio, mentre oggi siamo superati da Turchia, Kazakistan, Azerbaigian; siamo insomma scivolati a livelli da comprimari nel panorama siderurgico.
Inoltre immagino non aiuti prendere il gas dagli USA a un prezzo quattro volte superiore al gas russo.
È esattamente questo il punto. Se continuiamo a far dipendere il prezzo della bolletta energetica dal gas e poi si paga quattro volte più di quanto lo pagavi alla Russia, metti totalmente fuori gioco le imprese. Un articolo di qualche giorno fa del Corriere della Sera riportava esattamente queste stesse considerazioni, fatte non da un pericoloso sindacalista bolscevico del secolo scorso, ma dai presidenti delle associazioni datoriali del settore del vetro, carta, cemento, acciaio e dell’auto.
Se la crisi energetica continua in questo modo come andrà a finire per il Sulcis?
Stiamo rischiando un declino irreversibile di quel polo industriale del Sulcis che fino a qualche anno fa, per paradosso, era campione a livello europeo e mondiale della produzione di piombo, zinco e alluminio. Questi tre materiali, assieme al rame e al litio, sono i primi cinque materiali che tutti gli studi accademici internazionali considerano decisivi e fondamentali per la transizione verso un modello sostenibile ed ecologico del modo di fare l’industria di domani.
Emanuele Ghiani

























