L’impatto del flusso di rifugiati sulle spese pensionistiche in Europa è “favorevole ma contenuto”. Lo sostiene il Fondo monetario internazionale in un rapporto pubblicato oggi e intitolato “The Refugee Surge in Europe: Economic Challenges”.
Citando il rapporto sull’invecchiamento della popolazione redatto lo scorso anno dalla Commissione europea, l’Fmi spiega che una riduzione dei flussi migratori di circa 210.000 individui all’anno tra il 2015 e il 2030 potrebbe risultare in spese pensionistiche più alte dello 0,1% del Pil europeo entro il 2030.
Applicando lo stesso concetto ma al contrario, le spese pensionistiche potrebbero calare entro lo stesso anno di un quarto di punto percentuale del Pil Ue.
“L’effetto potrebbe essere diverso nei vari Paesi”, recita il rapporto dell’Fmi, secondo cui quelli che ricevono il maggior numero di rifugiati sono destinati a registrare la riduzione più consistente nelle pensioni versate. “L’incremento dei rifugiati aiuterà anche a ridurre le spese sanitarie visto che le persone in età lavorativa dipendono meno sui servizi sanitari rispetto ai più anziani”.
Il Fondo conclude dicendo che “l’effetto favorevole sulla sanità sarà probabilmente inferiore a quello sulle pensioni visto che i rifugiati inizieranno a usare immediatamente i servizi sanitari non appena arrivano in una nazione ospitante mentre riceveranno pensioni e assistenza medica solo quando raggiungeranno l’età pensionabile”.
Nel breve termine, i costi fiscali legati all’assistenza fornita ai rifugiati in Europa “potrebbero essere notevoli in alcune nazioni”, costi di cui il budget Ue si fa carico “solo in una piccola parte”, con la Commissione che lo scorso settembre ha proposto di aumentare le risorse destinate alla crisi per il 2015-16 di 1,7 miliardi di euro (lo 0,01% del Pil Ue) a 9,2 miliardi (lo 0,07% del Pil Ue). Lo sostiene il Fondo monetario internazionale in un rapporto pubblicato oggi e intitolato “The Refugee Surge in Europe: Economic Challenges”.
In esso l’istituto di Washington stima che in media le spese di bilancio legate ai rifugiati possano salire rispetto al 2014 dello 0,05% del Pil nel 2015 e dello 0,1% del Pil nel 2016.
Austria, Finlandia, Svezia e Germania dovrebbero farsi carico dei maggiori incrementi di spesa nel 2015 e nel 2016 rispetto al 2014. Da una tabella, emerge che in Italia il costo fiscale associato ai rifugiati arriverà allo 0,24% del Pil nel 2016 dopo avere raggiunto lo 0,20% l’anno scorso e lo 0,17% in quello precedente. In Svezia si passerà all’1% del Pil nell’anno in corso dopo lo 0,5% del Pil nel 2015 e dello 0,3% del Pil nel 2014. In Germania sono attesi costi fiscali pari allo 0,35% del Pil nel 2016 contro lo 0,20% del Pil del 2015 e lo 0,08% del 2014.
Il Fondo ricorda che il Patto di stabilità e crescita prevede flessibilità per consentire ai Paesi Ue di rispondere alla crisi dei rifugiati deviando dunque dagli obiettivi fiscali di medio termine. Per l’Fmi bisognerebbe analizzare caso per caso per capire se le spese addizionali legate ai rifugiati siano sufficientemente notevoli da consentire quella flessibilità. Se consentita, ques’ultima dovrebbe essere “temporanea e le spese dovrebbero essere chiaramente e pienamente fatte in risposta alla crisi” dei rifugiati.