Dove si colloca l’Italia per quanto riguarda la parità di genere? Secondo il Word Economic Forum su 148 paesi l’Italia si posiziona all’85esimo posto. Se poi guardiamo le singole voci il nostro ranking subisce delle variazioni. Se sul versante della valorizzazione politica e dell’istruzione siamo, rispettivamente al 65esimo e al 51esimo posto, per salute e sopravvivenza e partecipazione economica scendiamo all’89esima e alla 117esima posizione. In Europa ci collochiamo 14esimi. È inoltre significativo che realtà come la Spagna, che partivano da una condizione peggiore dell’Italia, stiano facendo registrare performance migliori. Prendendo l’esempio spagnolo, il governo di Madrid è intervenuto, prima di tutto, sui fattori culturali che alimentano le disparità di genere, e poi potenziando i servizi, come gli asili nido, per garantire la permanenza delle donne nel mercato del lavoro. È questo lo scenario internazionale nel quale si snoda l’analisi del Gender Pay Gap Report 2025 dell’osservatorio JobPricing.
La differenza di genere è un fenomeno che nella vita di una donna parte da lontano, che si declina sotto più voci e che è determinato da diversi fattori. Sul versante della formazione ci sono molte più laureate, con una percentuale di poco inferiore al 60% rispetto a quella dei colleghi maschi che supera leggermente il 40%. Eppure le donne vivono ancora una segregazione formativa, imputabile principalmente a fattori culturali e sociali, che le porta a laurearsi in discipline, come quelle umanistiche o i servizi socio-sanitari e non nelle stem, che poi, una volta entrate nel mercato del lavoro, le dirotterà verso occupazioni e settori con retribuzioni più basse e carriere più discontinue.
Il report, poi, mette in luce la minore presenza delle donne nel mondo lavorativo. Rispetto a un tasso di occupazione maschile del 71%, nel 2024 quello femminile si è attestato al 53,4%. Se da un lato è incoraggiante il fatto che, rispetto a qualche anno fa si può dire che almeno una donna su due lavori, dall’altro quasi un terzo di questi contratti, il 30%, è part time, rispetto al 7% degli uomini. Preoccupante è anche il tasso di inattività nella popolazione femminile al 42,4%. In questo insieme oltre un milione di donne si dichiara disponibile a entrare nel mondo del lavoro ma, al tempo stesso, sarebbero pronte ad accettare paghe sotto i mille euro. A incidere sulla minor presenza femminile nel mercato del lavoro anche l’elevato monte ore di lavoro non retribuito. In media sono 5 le ore giornaliere che gravano sulle spalle di una donna rispetto alle 2 di un uomo.
Il gap si riscontra anche nei percorsi di carriera. Negli impiegati la presenza femminile è maggioritaria, 59%, presenza che poi sia assottiglia salendo nei quadri e nei dirigenti, al 47% e al 35%. Nei cda delle società quotate in borsa la componente femminile si attesta al 43,2%, ma solo il 17% di queste ricopre ruoli esecutivi. In sostanza ancora poche donne hanno veramente in mano le sorti delle aziende.
C’è, ancora, il divario retributivo. Analizzando la retribuzione annuale lorda e quella globale annuale lo studio certifica una disparità del 7,2% e dell’8,6%. Ma è nella retribuzione variabile che le differenze si fanno più marcate. Questo è dovuto alle carriere più discontinue delle donne, al fatto che la loro partecipazione è quantitativamente minore nel mercato del lavoro o che, a volte, i vari premi di risultato o di produzione sono erogati prendendo come criterio la presenza fisica nel luogo di lavoro, e questo penalizza le donne che magari si devono assentare per la maternità o la cura della famiglia. Qui il dislivello è superiore al 25%, e anche la platea di donne che beneficia del salario accessorio è inferiore di 10 punti percentuali rispetto agli uomini.
Il gender pay gap si manifesta anche sulla base del titolo di studio. Le laureate prendono stipendi più leggeri del 18,5% rispetto ai colleghi, percentuale che si attesta al 7,2% tra i non laureati. Se poi guardiamo questo dislivello nel corso della vita lavorativa vediamo come questo aumenti con il salire dell’età. Se è al 3% nella fascia 25-34 anni, si arriva al 12% tra i 55 e i 64 anni. Tra i settori, lo studio colloca al primo posto i servizi finanziari quello con la maggior disparità nei trattamenti economici, che arriva al 15,4%. Se, invece, prendiamo le costruzioni il tavolo si capovolge: sono le donne a guadagnare il 14,5% in più degli uomini. Un dato che, tuttavia, si spiega con il fatto che nell’edilizia le donne sono concentrate nelle mansioni impiegatizie. Infine, tra le famiglie professionali, il maggior distacco economico a svantaggio delle donne si ha nelle vendite, nell’amministrazione e nelle risorse umane.

























