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Home - Approfondimenti - L'Editoriale - Il manuale del buon contrattatore

Il manuale del buon contrattatore

di Massimo Mascini
10 Dicembre 2021
in L'Editoriale
Il sindacato e le sfide dei territori

Hanno sorpreso tutti Cgil e Uil quando hanno proclamato questo sciopero generale contro il governo di Mario Draghi. Che ci fosse del malumore si sapeva, Landini e Bombardieri non si facevano pregare per dire che il confronto con il governo non marciava, i resoconti degli incontri che si succedevano non erano mai improntati all’ottimismo. Ma era normale amministrazione, la storia infinita di questi confronti tra governi che possono dare poco e sindacati che chiedono sempre un po’ più, per tradizione più che per convinzione. E invece questa strana coppia ha rotto gli indugi e chiamato i lavoratori allo sciopero generale. Forse l’avviso più forte che stava cambiando il vento era venuto quando all’assemblea di Confindustria, dopo che prima Carlo Bonomi e poi il premier avevano sollecitato l’avvio di un negoziato triangolare per arrivare a un patto sociale, il segretario generale della Cgil e poi il suo collega della Uil avevano in pratica lasciato cadere l’invito, nemmeno colti dalla curiosità.

La situazione invece è precipitata e si è arrivati allo sciopero generale forse nel momento peggiore, mentre è in corso una terribile pandemia e contro un governo che, oltre a combattere, anche con successo con questa pandemia, sta realizzando una serie di riforme strutturali in grado di cambiare il paese, le stesse riforme che in quarant’anni non si era mai riusciti a fare per la resistenza dei portatori degli interessi (di parte) che ne sarebbero stati colpiti. Insomma, un governo che ha dato e che poteva dare a tutti. E, per lo più, alla fine di un confronto che, a detta delle stesse Cgil e Uil, avevano portato dei risultati, forse non sufficienti, ma non disprezzabili.

Comunque sia allo sciopero generale si è arrivati, anche se forse un po’ troppo frettolosamente. Comunque non è vero nemmeno che questa trattativa sia finita lì, perché ci saranno, e in parte già ci sono, altri appuntamenti per discutere dei temi di cui in queste settimane si è discusso. Del resto, basta il fatto che a distanza di nemmeno tre giorni dalla rottura il sindacato, tutto, con le associazioni imprenditoriali e il governo hanno raggiunto un importante accordo sui temi dello smart working, a testimoniare che il confronto non è finito. Quindi un ripensamento non è affatto da escludere e gli stessi protagonisti hanno assicurato di essere pronti a una ripresa del dialogo e magari anche a un accordo. Anche se il prezzo per un accordo che hanno fissato sembra abbastanza alto.

Insomma, una situazione fluida, comunque non conclusa. Quello che c’è di sicuro, e peserà in futuro, è invece la rottura dell’unità con la Cisl, che non è mai un fatto tecnico, ma essenzialmente politico. Nessuno ha cercato di allargare la frattura, ma il vulnus resta e porterà dei problemi nei prossimi tempi. Chi ha un po’ di memoria della storia delle relazioni industriali non dimentica le fratture dell’unità sindacale che avvennero negli anni ottanta nella guerra per la scala mobile e le divisioni, fortissime, che procurò, soprattutto tra i lavoratori, nei luoghi di lavoro, nelle fabbriche.

Ciò detto, resta il fatto, sottovalutato in tanti commenti un po’ distratti, che quello di scioperare è un diritto irrinunciabile di qualsiasi sindacato. Chi non è contento dell’andamento di una trattativa ha tutto il diritto di manifestare il proprio scontento, anche con lo sciopero se si tratta di un sindacato dei lavoratori. Il fatto di aver intavolato un negoziato non toglie a una delle parti in gioco la liceità di trarre tutte le conseguenze che crede dall’andamento di questo confronto e di reagire come crede. Chi pensa il contrario ha un’idea sbagliata della concertazione, che non dà alcun potere di veto come non lega le mani a nessuno.

La concertazione, come è stata pensata dalla fine degli anni ottanta, è un sistema per governare più semplicemente le società complesse. Chi governa può, se crede, prima di prendere alcune decisioni importanti, come certamente quelle di politica economica, sottoporre queste decisioni che si appresta a prendere a chi rappresenta fette importanti della società e, nel caso in cui incontri resistenze e queste decisioni non piacciano, a modificarle o meno. E’ evidente che in questo modo si facilita la conduzione di un governo, perché si evitano conflitti inutili. Il conflitto in sé non è un male, assolutamente, perché segnala solo l’esistenza di un problema, di una differenza di visione su un problema comune: il problema non è il conflitto, ma la non soluzione di un conflitto. Ma se con la concertazione emergono differenze di opinioni e queste vengono superate, la concertazione ha un suo valore assoluto.

Perfetta liceità quindi, nel proclamare questo sciopero generale. Quello che colpisce è la sproporzione tra la realtà del confronto e la decisione presa. Tra le “colpe” del governo e la reazione del sindacato. Forse uno sciopero generale non era indispensabile, forse l’irritazione e il malcontento potevano portare a qualche misura meno forte. Anche perché lo sciopero generale rappresenta l’arma finale, il colpo più forte a disposizione del sindacato. Il manuale del buon contrattatore dice che è sempre necessario tenersi un’arma a disposizione per rispondere con efficacia in ogni momento del confronto. Ma se si è già fatto lo sciopero generale resta poco altro a disposizione.

Massimo Mascini

Massimo Mascini

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Direttore responsabile de Il diario del lavoro

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