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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - Il Patto di stabilità Giano bifronte

Il Patto di stabilità Giano bifronte

di Maurizio Ricci
24 Maggio 2023
in Poveri e ricchi, Analisi
Durante (Cgil), l’Europa è un gigante economico e sociale che rischia l’autolesionismo

C’è un verme nella mela? Dovremmo dare retta ai nostri nemici tedeschi e diffidare dei nostri amici di Bruxelles? Insomma il Patto di stabilità che l’Europa si prepara a varare, per tenere sotto controllo le finanze nazionali, a cominciare da quelle traballanti italiane, è una solenne fregatura? L’allarme lo ha lanciato Lorenzo Bini Smaghi – che ha fatto parte del vertice della Bce e oggi presiede una grande banca francese – e, a sorpresa, non riguarda le tracotanti pretese dei falchi del Nord, ma le proposte della Commissione che, a prima vista, dovrebbero invece favorirci.

Vediamo. Il Patto, figlio del Trattato di Maastricht, è stato sospeso per la pandemia e torna in vigore a fine anno, ma, su richiesta unanime, profondamente rivisto. Quello sospeso, infatti, era ingestibile. Troppo pesanti i vincoli. Non tanti il limite del 3 per cento al deficit di bilancio, quanta l’irrealistica pretesa di riportare il debito pubblico entro il tetto del 60 per cento del Pil, a marce forzate di riduzione del 5 per cento (dello scarto rispetto al 60 per cento) l’anno. Impossibile pensare  di tagliare il debito di decine di miliardi ogni anno, quindi a Bruxelles si sono adoperati nell’ultimo ventennio, per trovare percorsi alternativi, sempre però dubbi, contestati e, peraltro, tecnicamente discutibili (ad esempio, con calcoli azzardati su un dato solo ipotizzabile, come il Pil potenziale). Ed ecco, dunque, la proposta della Commissione di affidare la normalizzazione ad un risanamento su misura, ovvero una trattativa fra Commissione e singolo paese, piuttosto che a vincoli uguali per tutti. Immediata la controproposta tedesca di imporre, comunque, una riduzione del debito dello 0,5 per cento l’anno, particolarmente onerosa e, alla fine, accantonata in cambio di un vincolo a ridurre il deficit (e non il debito) dello 0,5 per cento l’anno.

E’ qui, nel vincolo sul deficit, la fregatura? Niente affatto, spiega Bini Smaghi. Il problema è il percorso della trattativa fra Commissione e singolo paese. Viene venduta come garanzia di maggiore flessibilità nella politica di bilancio, rispetto a vincoli numerici predeterminati, ma potrebbe rivelarsi una illusione ottica. Il problema, secondo Bini Smaghi, ruota intorno all’accento posto sul criterio, assai elusivo, della sostenibilità del debito, al posto del deficit di bilancio.

Il percorso proposto dalla Commissione prevede, infatti, che la stessa Commissione definisca preliminarmente una “traiettoria tecnica” di riduzione della spesa pubblica che consenta un contenimento “plausibile” del debito nell’arco di 4-7 anni. Tuttavia,, più del deficit, il debito è determinato da fattori che, spesso, sono al di fuori delle possibilità di intervento del singolo governo e, quasi sempre, sono comunque largamente imprevedibili. Il debito dipende dal livello dei tassi di interesse. Il suo rapporto con il Pil dallo stesso Pil: se l’economia cresce, il peso sul debito diminuisce. E, infine, contano gli umori volatili dei mercati e da come la pensano loro sulla sostenibilità del debito (ad esempio tenendo conto proprio dei tassi e della crescita). Gli stessi mercati si preparano a seguire con grande diffidenza le trattative fra Bruxelles e le singole capitali che dovrebbero essere il terreno della celebrata flessibilità: un intoppo e i mercati possono incendiarsi, anche perché niente accordo con la Commissione, niente intervento di soccorso con i soldi della Bce.

E un intoppo è facile. La Commissione ha tutti gli incentivi a preparare una traiettoria tecnica molto severa per la riduzione del debito, in modo da non essere smentita dai mercati. E, una volta aperta la trattativa con il singolo paese, non ha nessun incentivo a trovare un accordo dato che – specifica la proposta in discussione – in caso di disaccordo prevalgono comunque la ”traiettoria” tecnica della Commissione  e la sua idea di “plausibile”.

Insomma, tutto il negoziato fra Bruxelles e Roma o Madrid – la garanzia della flessibilità – rischia di rivelarsi poco più che fuffa. Il negoziato vero – ammesso che ci sia – avviene semmai prima, quando viene definita la traiettoria tecnica e ha l’aria di essere tutto, meno che trasparente. La partite del nuovo Patto di stabilità è ancora da giocare.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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