Nel suo editoriale dal titolo “Se Confindustria cede alle lusinghe della disintermediazione”, Massimo Mascini mette in guardia sulle conseguenze insite nell’idea di potere fare a meno del sindacato, demandando la contrattazione al semplice e molecolare accordo tra le parti, tra singola azienda e lavoratore/i; il tutto al di fuori di ogni cornice più generale, ruolo oggi ricoperto dal contratto nazionale e quindi dai sindacati.
C’è in Confindustria una duplice sottovalutazione: la prima è quella sottolineata da Mascini, e rimanda al ruolo di mediazione dei sindacati in quanto soggetti “che assicurano la coesione sociale, in fabbrica prima che nel paese, che consentono di realizzare cose nuove che i lavoratori magari, per loro incapacità o incoltura, non accetterebbero, ma che, spinti appunto dai loro rappresentanti, finiscono per fare proprie”
La seconda riguarda invece la pervasività della stessa idea di disintermediazione che, una volta sdoganata e assunta come parte integrante del lessico e dell’agire politico, potrebbe rivoltarsi, per la molte volte vista eterogenesi dei fini, contro la stessa Confindustria che oggi sembrerebbe invocarla. E’ noto infatti che i grandi assets produttivi vedono con crescente fastidio la necessità di riversare cifre da capogiro alla associazione di Viale Astronomia ( dell’ordine di 4 -5 milioni di euro annui) per avere poco o nulla in cambio, come si sente dire sempre più spesso e sempre a voce più alta da players economici di altissimo livello. Marchionne è stato, come di consueto, l’apripista, ma altri potrebbero seguire dal Patron di Barilla a Moretti e agli altri che non gradiscono il peso eccessivo che in Confindustria hanno grandi banche e fornitori di servizi come Enel o Poste che per molti industriali possono rappresentare una controparte per quanto riguarda le politiche del credito o delle tariffe.
La storia di questi giorni ci ha fatto anche capire quanto sia stretto il cerchio della prima fila di Confindustria. Un’associazione privata i cui dirigenti vengono selezionati, o meglio coltivati fina dalla più tenera età. a partire dai soci più rappresentativi e fedeli. Una prassi dunque sicuramente legittima ma che tuttavia potrebbe creare imbarazzo a chi di tale cerchia non fa parte; e che potrebbe temere di non essere tenuto nella giusta considerazione non tanto in termini di servizi ricevuti quanto in termini di sostegno nei confronti della politica sempre più permeabile al concorso esterno dei soggetti economici.
Insomma l’impressione è che, una volta avviato, l’ingranaggio della disintermediazione potrebbe trascinare nel vortice anche chi ne ha determinato l’ avvio.
Rimane poi un ultimo punto relativo alle conseguenze di una eventuale desertificazione della contrattazione generale. L’esperimento, è bene ricordarlo, è già prassi compiuta nel Pubblico impiego grazie soprattutto al rullo compressore di Renato Brunetta che con la sua riforma della PA ha segnato, in tema di relazioni sindacali, il passaggio dal prima al dopo. Nella PA il ruolo dei sindacati è ormai marginale, essendo stato sottratto loro il complesso delle materie che erano di competenza della contrattazione di secondo livello e per le quali era obbligatorio l’accordo delle parti. E così il conferimento dell’incarico del dirigente ( tra cui rientrano i 100.000 medici e gli altri dirigenti sanitari) è ormai affidato alla diretta contrattazione tra il singolo professionista e l’amministrazione.
Certo si potrebbe obiettare che il CCNL prevede che la graduazione delle funzioni avvenga sulla base di parametri e indicatori obiettivi e che il conferimento dell’incarico debba assumere la forma dell’atto scritto e motivato, ma la prassi in molti casi (se non in tutti) è stata ben diversa. E tale prassi è diventata ancora più “privata” dopo che il sindacato ha perso un ruolo di interlocutore con specifiche prerogative per assumere quello dell’ospite imbucato alla festa di compleanno. Nella PA dunque la disintermediazione non è un obiettivo che i liberisti puri hanno messo nel loro elenco dei desiderata, ma è la regola; una regola si badi bene mantenuta inalterata dai numerosi ministri post-brunettiani. A guadagnare di questa deregolation senza regola non è stata certo la trasparenza degli atti amministrativi e nemmeno la qualità del lavoro.
Come insegnano i bocconiani infatti nei settori labour-intense come quello della sanità il clima lavorativo e la valorizzazione del professionista non sono elementi di contorno o marginali. Entrambi sono due assets strategici fondamentali per un uso migliore delle risorse, a loro volta indispensabili per il miglioramento continuo della qualità con tutto quello che ne consegue in termini di risultati.
Roberto Polillo