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Home - Rubriche - Giochi di potere - Il sogno dei leghisti “buoni”

Il sogno dei leghisti “buoni”

di Riccardo Barenghi
1 Giugno 2022
in Giochi di potere
Il sogno dei leghisti “buoni”

Ormai si parla della Lega senza Matteo Salvini, se ne parla nella stessa Lega (magari a bassa voce ché non si sa mai…) e in tutto il mondo politico. L’ultima trovata del leader leghista, quella di un viaggio a Mosca per parlare con non si sa chi, visto che Putin non l’avrebbe mai ricevuto e il ministro degli esteri Lavrov neanche, ha suscitato un mare di polemiche e di feroci critiche. Ma dove vuole andare Salvini, ma chi si crede d’essere, ma come gli salta in mente di autonominarsi ambasciatore di Draghi senza nemmeno chiedergli il permesso? In effetti l’uscita è stata quantomeno infelice, così come infelice e soprattutto inverosimile è la sua pretesa di voler passare per un pacifista quando tutta la sua storia politica di pacifismo non ha mai avuto nulla. Basti pensare alla sua concezione della legittima difesa: armi per tutti e se uno si trova un ladro in casa, può tranquillamente sparare e magari ucciderlo senza per questo rischiare di finire in galera. Gli si potrebbe obiettare che la difesa degli ucraini è più legittima di tutte le altre e che, seguendo il filo del suo ragionamento, le armi che anche noi mandiamo a Kiev sono appunto adatte allo scopo a lui tanto caro.  Per non parlare dei suoi rapporti con la Russia di Putin, rapporti politici e affaristici che lo hanno anche indotto a dire che avrebbe scambiato mezzo Putin per due Mattarella e a indossare quella famigerata maglietta con stampata la faccia del presidente russo. Maglietta che gli è costata la pessima figura fatta all’inizio della guerra quando, al confine tra Polonia e Ucraina dove era andato per pura propaganda, il sindaco polacco di quel paesino (per di più di estrema destra) l’aveva mostrata al pubblico ludibrio. Salvini era lì perché voleva solidarizzare con i profughi che da Kiev cercavano rifugio in Polonia e in Europa, proprio lui che profughi o immigrati li ha sempre considerati gente da rispedire al proprio paese, con le buone o possibilmente con le cattive.

D’altra parte, bisogna capirlo: il suo partito non va bene per niente, nei sondaggi è crollato intorno al 15 per cento (alle europee di tre anni fa aveva raggiunto il 34 per cento), stare al governo non gli giova, la sua alleata-rivale Giorgia Meloni invece è ormai stabilmente il primo partito del Paese.  Insomma, arranca, annaspa, in gergo calcistico si direbbe che non tocca una palla. Quindi deve inventarsi qualcosa per stare su piazze, far parlare di sé, cercare affannosamente di recuperare il terreno perduto.

Ma così facendo peggiora la situazione, tanto che qualcuno dentro e fuori la Lega ha fatto un sogno. Ha sognato un partito normale, quasi normale, ovviamente di destra ma non di estrema destra. Un partito che si preoccupa di governare l’Italia senza strappi eccessivi, con un leader con una faccia rassicurante, un linguaggio responsabile, che magari polemizza con gli avversari ma senza esagerare, che si circonda di una classe dirigente radicata nel territorio, preoccupato per la salute pubblica e per l’economia, che si considera italiano ma anche europeo, che pensa di poter vincere le elezioni scommettendo sulla ragione e non sulla demagogia, cioè sul populismo, che forse non è più tanto sovranista ma anzi si era convinto che il mondo non finisce con le Alpi e nemmeno sulle coste del Mediterraneo. E che gli immigrati, come i profughi ucraini, non erano più quei diavoli da ributtare a mare o da respingere con qualche muro, ma persone da aiutare e che addirittura possono essere utili al famoso Nord produttivo.

Ma i sogni, come cantava Cenerentola nel famoso cartone animato, son desideri. E allora è molto probabile che i sognatori, da Giorgetti a Fedriga a Zaia fino a tutti coloro che vorrebbero una Lega “normale”, saranno costretti a un brusco risveglio con di fronte la dura realtà. Realtà che purtroppo ci dice che la Lega o è Salvini o non è. Perché lui, per quanto in crisi, per quando mal ridotto, per quanto incapace di un’analisi e di una strategia politica degne di questo nome, lui sa toccare i sentimenti più primitivi di coloro che se ne fregano dell’Europa, che non hanno amato i vaccini, che non hanno sopportato il green pass, che odiano pagare le tasse, che “prima gli italiani” e dopo –anzi mai – gli immigrati, fossero pure profughi di guerra. Che non sono affatto pacifisti ma che – anzi – anche Putin aveva le sue buone ragioni. Saranno solo il 15 per cento, ma votano con la pancia e non col cervello. Ovviamente per Salvini.

Riccardo Barenghi

Riccardo Barenghi

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Giornalista

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