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Home - Approfondimenti - La nota - Addio a Paolo Nerozzi, il sindacalista del rinnovamento

Addio a Paolo Nerozzi, il sindacalista del rinnovamento

di Alessandro Genovesi
8 Settembre 2025
in La nota
Addio a Paolo Nerozzi, il sindacalista del rinnovamento

PAOLO NEROZZI

Paolo Nerozzi ci ha lasciato. Nella notte tra venerdi e sabato il suo grande cuore ha smesso di battere. Ci saranno (ci dovranno essere) momenti più consoni per ricordare i contributi che ha dato, soprattutto in ambito sindacale e soprattutto (ma non solo) in quella stagione così importante per il lavoro pubblico che vide in pochi anni la riforma contrattuale dei comparti e il primo contratto quadro, la “privatizzazione” del rapporto di lavoro e la sua contrattualizzazione collettiva, la legge che ancora oggi (unici ad averla) garantisce democrazia e misurazione della rappresentanza a milioni di lavoratori della P.A. e alle loro organizzazioni. E potrei continuare: perché quelli erano anche gli anni delle riforme istituzionali, iniziate con le c.d. Bassanini e proseguite poi fino alla controversa riforma del titolo V della Costituzione, con Nerozzi sempre “in prima fila”.

La storia politica e sindacale di Paolo è infatti fortemente intrecciata con quella della Cgil degli anni 90 e dei primi anni 2000. Una Cgil che stava facendo ancora i conti con la crisi dei partiti storici della Prima Repubblica e poi con la stagione riformatrice guidata da giuristi come D’Antona (di cui fu caro amico). Con gli anni del nascente berlusconismo e poi del primo governo Prodi, dell’Ulivo e del “dalemismo”. Erano gli anni dell’Europa che scrisse ma non attuò il Libro Bianco di Delors, per cedere presto alla Terza via di Blair e all’esaltazione della globalizzazione finanziaria. Erano gli anni dell’unità sindacale basata sui rapporti di forza (chi non si ricorda di Larizza e di D’Antoni), più che su condivise strategie e poi gli anni della rottura con Raffaele Bonanni in Cisl (con grande sofferenza di Paolo, che unitario lo era nel profondo nonostante il ruolo spesso gli imponesse altro). Gli anni, per i più giovani allora, che ci accompagnarono dal Social Forum di Genova ai tre milioni del Circo Massimo e del “Cinese” alla guida della Cgil. Gli anni del grande assalto ai diritti (Libro bianco di Maroni, Legge 30, ecc.) e del “privato è bello”, con la Cgil spesso sola a difendere un modello di sviluppo, un welfare pubblico e un sistema di relazioni industriali alternativi ad una visione neo liberista.

La Cgil: questa è stata, del resto e fino alla fine, per Paolo, la sua casa e la sua famiglia. Forse negli ultimi anni trattato anche un po’ male, forse un po’ troppo dimenticato dai tanti e tante che a lui devono parte del loro percorso e fortuna.

Perché quella di Nerozzi è stata prima di tutto, una lunga e onorata carriera sindacale che dalla fine degli anni 80 fino al 2008 lo ha visto dirigente prima della Cgil Emilia Romagna, poi in Funzione Pubblica Cgil nazionale (di cui fu anche segretario senerale, parte di un gruppo dirigente che da Achille Passoni a Valeria Fedeli a Michele Gentile ed altri, sono stati poi dirigenti di primo piano nella Cgil) ed infine in Cgil nazionale, nella segreteria con Sergio Cofferati e poi con Guglielmo Epifani. Segreterie “pesanti”, come si diceva una volta, con dirigenti del calibro di Nicoletta Rocchi o Giuseppe Casadio, Carlo Ghezzi e poi Carla Cantone, Marigia Maulucci e Giampaolo Patta, Danilo Barbi, Mauro Guzzonato e potrei continuare.

Paolo era parte fondamentale di quel gruppo dirigente, arrivato lì facendo tutto il cursus honorum tipico della Cgil. Da militante di sinistra, atipicamente bolognese (fosse solo per la sua iniziale vicinanza al Pdup e a quelli de “il manifesto”) che, come raccontava lui stesso ai tanti giovani dirigenti che ha sostenuto negli anni, aveva iniziato in economato a “contare le mutandine per donne” prima di diventare delegato sindacale e via via “scalare” le varie vette organizzative.

Scrivevo che arriveranno le occasioni per ricordare il contributo di Paolo Nerozzi, ma ora è forse – sicuramente da parte mia – anche il momento dei ricordi più personali, tutti però intimamente legati alla dimensione politica di questo grande dirigente che ci ha lasciati. Momenti anche di scontro, di battaglia politica, di errori di valutazione e sconfitte (quanto sbagliammo nel leggere alcune trasformazioni nella società italiana, quanto poco intuimmo delle trasformazioni tecnologiche, per non dire del cambio culturale anche nelle giovani generazioni, quanto timidi fummo di fronte alle sfide poste anche dalle nuove “multinazionali” tascabili o dalla stessa crisi della finanza pubblica locale).

Battaglie, vittore e sconfitte che lo hanno visto però sempre in prima fila, nel sindacato e nell’agone politico partitico. Pagando, se del caso, anche di persona. Con il suo modo di fare (“tieni conto sempre dell’utilità marginale in ogni scelta”, lezione che a differenza di altri non ho mai appreso pienamente), con la sua irascibilità, con i suoi improvvisi momenti di dolcezza.

E allora tra le mille esperienze personali e al contempo politiche – che ognuno di noi può associare al suo rapporto con Paolo Nerozzi (vera eminenza grigia della Cgil, per molti anni) – vorrei soffermarmi solo su alcune di esse, a mio parere rappresentative del dirigente e della persona.

La prima era la sua concezione della funzione sindacale: una funzione tesa sempre alla preoccupazione di governare i processi, di accompagnare le evoluzioni e le trasformazioni in essere, di carattere economico o sociale, istituzionali o politiche che fossero. Insomma Nerozzi fu tante cose ma mai un conservatore. E questo non riguarda solo l’importante contributo dato come leader della Funzione Pubblica Cgil, ma penso anche al tentativo di rilancio di strumenti e pratiche di sviluppo dal basso nel Mezzogiorno, quando era segretario nazionale della Cgil. L’importanza della questione meridionale (e della lotta alla criminalità organizzata) come questione nazionale. L’emancipazione dei lavoratori del sud, in particolare dei giovani, come grande vertenza nazionale, contro ogni forma di separatismo o di “leghismo” politico e culturale.

E poi il rapporto tra sindacato e politica: un’autonomia, quella del sindacato confederale, mai concepita come indipendenza, come separazione, anzi. Paolo fu protagonista, insieme ad altri, del tentativo di contrastare fino in fondo, nel principale partito della sinistra dell’epoca (i DS), una deriva neo moderata, sganciata dai bisogni sociali del lavoro dipendente, dei disoccupati, dei precari, dei pensionati. Fu (fummo) animatori non nascosti o silenziosi di un tentativo politico importante “per tornare a vincere”, come recitava la mozione di quel c.d. “correntone” che animò il dibattito politico, ma anche la stagione – oggi forse irripetibile – dei girotondi, del grande movimento pacifista, del Circo Massimo.

Ed infine vorrei ricordare un tratto specifico, forse questo si più propriamente di Paolo anche rispetto agli altri dirigenti della Cgil, che caratterizzò il suo “esercizio” del potere: la costante, quasi smaniosa voglia ed impegno per promuovere nuove leve, nuove generazioni, nella vita politica e sindacale. In particolare in Cgil. Su questo Paolo era metodico, con punte di nevrosi e una capacità di “stressare” il dibattito politico e le dinamiche organizzative come pochi. Se una leva diffusa di quadri sindacali ha trovato in Cgil la propria dimensione di impegno, lo si deve proprio a lui. Credeva molto nelle associazioni studentesche (un po’ meno nelle giovanili di partito) come “vivaio” naturale della Cgil e andava a cercare le giovani “promesse” finanche nei luoghi più sperduti dell’impero.

La mia piccola esperienza, il mio ritorno in Cgil – mentre da praticante Rai facevo il funzionario di partito – fu anche questo, il frutto dell’insistenza di Paolo (e del benestare un po’ scorbutico ma affettuoso di Passoni e Cofferati). Così come la venuta a Roma di altri, o la sperimentazione in ruoli di direzione sul territorio o in strutture nazionali di categoria di altri e altre. Sarebbe lungo l’elenco (e forse qualcuno ne sarebbe anche sorpreso) di quanti attuali dirigenti della Cgil devono la loro esperienza a questo continuo lavorio di Paolo, alle sue litigate furiose con questo o quel dirigente sindacale, affinché “si aprisse al nuovo”, fino a quella sera – lo ricordo come fosse ieri – quando ad una riunione ristretta del gruppo dirigente della Cgil (quelle riunioni quasi sacrali cui contenuti non sono “divulgabili”; ma oramai il tempo è passato) quando Paolo invitò tutto il gruppo dirigente apicale dalla Cgil, lui compreso, “a un suicidio dolce ma di massa, perché era giunto il momento di un drastico ed immediato ricambio generazionale”…

E altri episodi, altrettanto colorati ma “efficaci” potrei raccontare: che si trattasse di associazioni studentesche e dello loro dinamiche interne o la promozione di questo o quel dirigente o ancora la conclusione di questo o quel contratto collettivo… ma – mi scuserà il lettore – sono frammenti di memoria che per pudore e gelosia terrò per me e per i tanti amici e amiche con cui ho condiviso un tratto di vita e militanza e – con una parte di questi – continuo a lavorare, discutere, litigare.

Paolo terminò la sua esperienza politica con il riconoscimento forse più tipico per una generazione di dirigenti del sindacato: fu eletto senatore della Repubblica, continuando ad occuparsi di lavoro, di salute e sicurezza, di lotta al precariato. Ma Paolo, per molti di noi, Senatore lo era già. Senatore di quella grande organizzazione che era (e con tutti i limiti è ancora) anche una grande comunità politica, intellettuale ed umana: la Confederazione Generale Italiana del Lavoro.

E forse il modo migliore per onorarne la memoria e il lavoro fatto, per trasmetterlo a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, è proprio quello di continuare a mettere ancora più curiosità, voglia di sperimentare e coraggio, al centro delle nostre azioni e pratiche. Così, per un grande sindacato e una grande sinistra “senza aggettivi” (come si intitolava un libello scritto insieme con Paolo e con Pietro Folena, tanti anni fa, con l’incoraggiante prefazione di Luciana Castellina). Una Cgil e una sinistra che dicono “chi sono” attraverso “quello che fanno”, con le battaglie che portano avanti, con i risultati di miglioramento delle condizioni materiali e spirituali che ottengono per milioni di donne e uomini: lottando, mediando, contrattando, facendo insomma e fino in fondo “il nostro mestiere”. Ciao Paolo.

Alessandro Genovesi

Alessandro Genovesi

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Responsabile Contrattazione inclusiva, appalti e lavoro nero della Cgil Nazionale

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