Un convegno sentito, quello di oggi alla sede nazionale della Cgil, che ha parlato di Industria 4.0 nel settore Agroalimentare. L’iniziativa ha visto la partecipazione del segretario generale della Flai, Ivana Galli, il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e il presidente di Federalimentare, Luigi Pio Scordamaglia. Nuove tecnologie, disoccupazione, organizzazione del lavoro, formazione questi i principali temi affrontati. Se da un lato la quarta rivoluzione industriale desta preoccupazione; dall’altro lato forte è il bisogno di cogliere le trasformazioni in atto come una sfida da vincere in nome della tutela dei lavoratori. Compito del sindacato in questo processo di innovazione assistita dalle parti sociali, non solo quello di veicolare la trasformazione ai fini della tutela del lavoro ma anche quello di partecipare alle scelte che determineranno il passaggio all’industria digitale come nodo fondamentale per il rilancio dell’industria nel paese. A proposito del quale è stata istituita una cabina di regia tra le parti sociali che, insieme al piano nazionale del Governo sull’industria 4.0, in parte inserito nella legge di bilancio 2017, e il programma messo insieme dalla Cgil, avrà come obiettivo quello di governare questa transizione in parte già applicata in molte industrie italiane.
L’indagine Nomisma della Fondazione Metes della Flai Cgil, presentata durante il convegno, dimostra che bisogna percorrere molta strada per raggiungere i risultati attesi, ovvero, favorire l’implementazione di Industria 4.0 nel comparto manifatturiero al fine di rendere i prodotti nazionali più competitivi. L’indagine ha coinvolto 200 aziende alimentari di medio-grandi dimensioni, il 57% delle quali ha già introdotto tecnologie digitali all’interno del processo produttivo, il 10% ha, invece, dichiarato di essere in fase di progettazione e valutazione, il 19% non ha ancora affrontato il tema e il 14% non è interessata all’implementazione delle tecnologie di industria 4.0. Le principali tecnologie adottate sono quelle che riguardano la sicurezza informatica, a seguire quelle cloud e IoT che, per i non addetti ai lavori, consisterebbero nell’applicazione della rete internet agli strumenti/oggetti utilizzati in corso di produzione. Ancora minime, invece, le applicazioni di robotica collaborativa e big data e ancora meno diffuse risultano essere le tecnologie della realtà aumentata e della manifattura additiva come le stampanti 3D. Ma il 43% delle industrie prese in esame, ancora, non usa nessuna tecnologia dell’industria 4.0.
I vantaggi dell’adozione delle tecnologie digitali nelle aziende adopter, hanno spiegato gli studiosi della fondazione Metes, sono molteplici: la riduzione dei costi di produzione, il miglioramento della produttività e l’aumento delle informazioni relative al processo produttivo. Il principale ostacolo all’implementazione dell’Industria 4.0, individuato dall’indagine, sembra essere, invece, la mancanza di competenze professionali in grado di utilizzare tali tecnologie. Quindi passaggio fondamentale, sottolineato dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso è la formazione e la riqualificazione del capitale umano impiegato nelle aziende. Lavoro e formazione devono, quindi, fare sistema nell’industria 4.0 per questo motivo, dall’alternanza scuola lavora alle aziende, è necessario supportare e sistematizzare la qualità del lavoro. Non è possibile, infatti, secondo il sindacato di corso d’Italia avvalersi ancora del “lavoro accessorio o pagato con gli scontrini” perché non consente continuità nella formazione e nello scambio di informazioni tra i lavoratori. Gli altri fattori individuati che riguardano il ritardo nell’applicazione delle tecnologie digitali sono l’insufficienza delle risorse finanziarie e la difficoltà a reperire informazioni sulle tecnologie 4.0.
La Germania, pioniera della digitalizzazione industriale, è considerata il principale adopter europeo. Successivamente la Francia e l’Italia hanno imboccato questa strada adottando politiche di incentivazione per la diffusione delle nuove tecnologie. Il Piano nazionale industria 4.0 italiano è stato pensato per incoraggiare gli investimenti in tecnologie digitali, innovazione e ricerca e sviluppo attraverso la proroga del superammortamento al 140%, l’introduzione dell’iperammortamento al 250% e il credito d’imposta sulle attività di R&S. Tutti incentivi alle aziende che si spera abbiano qualche risultato.
La Germania, infatti, a differenza di Francia e Italia, precisa l’indagine Nomisma, ha preferito puntare sugli investimenti diretti invece che sugli incentivi fiscali. Sarà la strada giusta quella adottata oltr’alpe? La storia del nostro paese ci racconta che l’abbattimento del costo del lavoro e le risorse destinate alle imprese non abbiano giovato l’industria italiana, anzi: le imprese del nostro paese, tendenzialmente, hanno preferito il lavoro a bassa qualità all’innovazione, perché poco remunerato. Economicamente parlando, infatti, i salari alti favoriscono un comportamento delle imprese positivo che decidono di investire in nuove tecnologie. Il contrario di quello che per decenni è stato applicato nel nostro paese. La flessibilizzazione del mercato del lavoro con l’introduzione delle varie figure “atipiche”, dei voucher e dei lavori a chiamata, non ha favorito né la formazione continua delle risorse umane né l’innovazione dell’industria. Ha incentivato invece un meccanismo poco virtuoso che dovrebbe essere assolutamente invertito.
Il ministro Calenda, con cui il sindacato ha costruito una discussione produttiva, dal canto suo ha sottolineato la necessità di mettere insieme investimenti pubblici e privati per raggiungere l’obiettivo di innovare l’industria italiana. L’export del settore agroalimentare, ha ricordato, è cresciuto di tanto e si avvale ancora della qualità made in Italy che può essere ulteriormente valorizzata con l’adozione e la diffusione di nuove tecnologie. Un made in Italy che Ivana Galli, segretario generale della Flai, ci racconta essere costituito soprattutto dalla filiera che va curata, considerando che le nuove tecnologie e l’innovazione devono essere adattate al territorio in cui nascono e crescono le industrie. Non sono elementi inscindibili. Il segretario generale Camusso ha lanciato, inoltre, una sfida al Ministro: sull’industria Agroalimentare, data l’importanza della filiera, non è possibile che sia la Grande Distribuzione Organizzata a decidere i prezzi e cosa distribuire.
Ma altre questioni rimangono aperte, sollevate soprattutto dalle Rsu dell’industria alimentare di tutta Italia presenti al convegno. In particolare l’orario di lavoro, caposaldo delle battaglie sindacali e che l’industria 4.0 rimette in discussione. Le nuove tecnologie digitali, infatti, rendono labile il confine tra orario di lavoro e tempi di vita, sulla quale è necessaria una nuova regolamentazione al passo con il ripensamento dell’organizzazione del lavoro 4.0. Altro tassello fondamentale il pericolo che le nuove tecnologie sostituiscano tanti posti di lavoro, con una conseguente crescita della disoccupazione, in particolare quella giovanile che già tocca punte molte alte. Un piano congiunto sulla formazione è sicuramente il perno su cui si deve basare questa trasformazione verso l’industria digitale, che avrà bisogno più che mai di personale qualificato e con nuove competenze.
Si fa tanto parlare del rischio dell’introduzione delle tecnologie innovative per il lavoro ma, nonostante ci siano posizioni contrastanti in merito, la tecnologia nei processi produttivi in passato ha provocato un meccanismo di riscomposizione della forza lavoro. Produce, in pratica, nuova divisione del lavoro con l’introduzione di nuove mansioni, qualificate o meno in questo caso è tutto da vedere. Probabilmente, il compito del sindacato 4.0 dovrebbe essere assumersi il ruolo di fare in modo che questa scomposizione crei nuovi diritti e nuove tutele e soprattutto che non comporti un ulteriore riduzione del salario e del potere contrattuale dei lavoratori organizzati o meno nel sindacato stesso. Per questo, sembra più che mai azzeccata la conclusione al convegno di Ivana Galli, segretario generale della Flai che parafrasando l’economista tedesco, Klaus Schwab ha detto: “pensiamo ad una tecnologia che sappia modellare la società futura in linea con i nostri più profondi valori umani”.
Alessia Pontoriero