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Home - Approfondimenti - Analisi - La dottrina sociale di Francesco

La dottrina sociale di Francesco

di Marco Cianca
9 Ottobre 2020
in Analisi
La dottrina sociale di Francesco


Pubblichiamo un estratto del saggio di Marco Cianca che apparirà sull’Annuario del Lavoro 2020. L’analisi è tutta dedicata alle idee del papa in tema di economia, con una particolare sottolineatura della posizione “rivoluzionaria” sulla proprietà privata.

 

Il neoliberismo, ripete Bergoglio, alimenta le iniquità. L’economia non può essere considerata una scienza neutrale separata dall’etica e il mercato è una giungla nella quale vige solo la legge del più forte. Creare maggiore ricchezza per affidarla nelle mani di pochi sperando che le briciole cadano giù dai rami diffondendo benessere costituisce un inganno: “la magica teoria del traboccamento o del gocciolamento”, ironizza.

L’Angelus del 2 agosto diventa un’esortazione “Auspico che con l’impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, si rilanci il lavoro. Ci vogliono tanta solidarietà e tanta creatività per risolvere questo problema”.

Ma i critici, gli avversari, i nemici vanno all’attacco. Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, lo difende con una dotta apologia, rispondendo “sì” alla domanda: “E’ ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato?”. L’articolo rammenta che Francesco è il primo gesuita “eletto Pontefice romano” e cita più volte Ignazio di Loyola, “che non è entrato per nulla nelle questioni dottrinali e teologiche ma si è preoccupato della testimonianza di vita”, per spiegare e giustificare “l’assoluta assenza di ideologie, di preconcetti e persino di un programma” nell’agire papale. Il capo del cattolicesimo si rende conto dei fatti “solo immergendosi nel popolo e nelle sue sofferenze”.  Va avanti, senza idee preconfezionate, mettendosi in gioco, “come gli apostoli”.  

E, infatti, continua l’opera, volta a “curare le ferite”, senza lasciarsi fermare o condizionare da alcunché. Propugna “una coraggiosa fantasia della carità”, denuncia il veleno della maldicenza e del pettegolezzo, esorta i giovani a non farsi “saccheggiare l’anima”, ripete che è sbagliato sognare un ritorno alla normalità, ammalata già prima della pandemia. Il 4 settembre invia un messaggio al Forum Ambrosetti di Cernobbio insistendo sulla necessità di “un’altra economia creativa e solidale”, che attui nuovi modelli di sviluppo con al centro le persone e la conversione ecologica. 

Il 25 settembre, apparendo in video all’Onu, esalta il multilateralismo e condanna “gli atteggiamenti di autosufficienza, il nazionalismo, il protezionismo, l’individualismo”.  Il primo ottobre si rifiuta di ricevere il segretario di stato americano Mike Pompeo, in visita a Roma, che lo aveva criticato per l’accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi.

E nel pieno del turbine scatenato dall’ uso improprio dell’obolo di San Pietro, arriva ad Assisi, si inchina davanti alla tomba del santo del quale ha preso il nome e sul piccolo altare antistante firma, commosso, la sua seconda enciclica (sarebbe la terza se oltre alla Laudato si’ consideriamo la Lumen Fidei, sottoscritta per rispetto verso Joseph Ratzinger che l’aveva vergata prima delle dimissioni).  Il testo viene diffuso il giorno successivo, domenica 4 ottobre, festa del Patrono d’Italia, al termine dell’Angelus, in una piazza San Pietro dove il sole si alterna alla pioggerellina, con un’edizione straordinaria dell’Osservatore Romano.

Omnes fratres. Un altro omaggio al Poverello. Una summa e un’apoteosi del pensiero bergogliano, densa di sue citazioni e di riferimenti ad altri scritti e discorsi. L’inizio e la fine sono un tributo al dialogo tra le religioni, Islam in primis: il Papa comincia la lettera apostolica ricordando la visionaria visita di San Francesco al sultano Malik-al-Kamil. Traccia un emblematico parallelo con il suo abbraccio al grande imam Ahmad Al-Tayyeb (Abu Dhabi 4 febbraio 2019) e pubblica in calce il congiunto appello “alla pace, alla giustizia e alla fraternità”.

All’interno di questa cornice, un inno al “fratello universale”, l’enciclica dipinge “le ombre di un mondo chiuso”, “i sogni che vanno in frantumi”, “la fine della “coscienza storica”:. Così gli stessi essere umani possono diventare “oggetto di scarto”: i deboli, i poveri, i malati, gli anziani, le donne, i bambini, gli immigrati. Non solo: “Lo scarto si manifesta in molti modi, come nell’ossessione di ridurre i costi del lavoro”.

Rinnovella l’anatema contro l’economia predatoria, la finanza senz’anima, lo sfruttamento indecente, la ricchezza che lievita senza vergogna: “Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati e violati”.  Di più: “Se qualcuno non ha il necessario per vivere con dignità è perché un altro se ne sta appropriando”

E qui il pontefice opera una frattura evidente con la tradizionale dottrina sociale della Chiesa (l’espressione fu coniata da Pio XI), che va dalla Rerum Novarum di Leone XIII alla Laborem Exercens di Giovanni Paolo II. Pur cercando di contemperare le esigenze del capitale con quelle del lavoro, non era mai stato messo davvero in discussione il principio della proprietà privata: Josè Maria Bergoglio lo fa, rimarcando che “la tradizione cristiana non lo ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile. “Prioritario e precedente” è “il diritto della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra”: “Finché il nostro sistema economico-sociale produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, non ci potrà essere la festa della fraternità universale”.

Come si può negare l’empito rivoluzionario di tali affermazioni?  Il Pontefice introduce a sorpresa persino elementi dell’illuminismo e declama: “Libertà, eguaglianza, fraternità”.  All’orizzonte, un nuovo mondo, migliore e aperto. Altrimenti “è prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni” e “il si salvi chi può si tradurrà rapidamente nel tutti contro tutti”.

L’enciclica ha come architrave la parabola del Buon Samaritano, che si ferma a soccorrere uno sconosciuto, ferito e lasciato a terra da alcuni briganti. Ma il Santo Padre va oltre il testo evangelico. Non basta aiutare chi è in difficoltà, nella consapevolezza che l’altro siamo noi. No, bisogna fare in modo che le cose cambino. Perché indignarsi, sostiene, è dignità. Hacer lìo.

Marco Cianca

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