C’è sempre papà. O mamma. O uno zio, un cugino, un nonno. Insomma, la famiglia, eterna cellula base della società italiana, assai più di quanto non accada in altri paesi, che accompagna ciascuno di noi, praticamente ad ogni passo. Soprattutto, oggi, è la formidabile rete di protezione, l’unica rimasta, mentre lo Stato sociale si fa sempre più minuscolo e assente. E’ la famiglia, tuttora, a garantire, fino al posto di lavoro, un’Italia eterna adolescente e precaria per sempre. Le riforme del governo Renzi e, in particolare, il contratto di lavoro a tutele crescenti, hanno, dunque, il proibitivo compito di arginare e tamponare lo sfascio dell’architettura sociale del dopoguerra, che disegna un paese irriconoscibile per la generazione che, oggi, si avvicina alla pensione.
Lo racconta bene uno studio della Banca d’Italia che mette a confronto l’impatto con il mondo del lavoro dei giovani laureati e diplomati a cavallo del 1980 e dopo gli anni ’90. La differenza è l’implosione del posto fisso. Alla fine degli anni ’70 e subito dopo, il 52 per cento dei diplomati è occupato a tempo indeterminato, a tre anni dalla fine della scuola. Per i laureati, la quota è superiore: 58 per cento. Se si escludono disoccupati e inattivi, fra i giovani, dotati di qualificazione professionale, che lavorano, due su tre hanno un posto fisso. Un quarto di secolo dopo, questo mondo è scomparso. La quota dei diplomati che, a tre anni dalla fine della scuola, ha un’occupazione a tempo indeterminato, è crollata al 27 per cento. La laurea, nonostante la maggiore qualificazione professionale, non è un ombrello sufficiente. Per i laureati, la quota di quelli con un posto fisso è appena superiore: 28 per cento. Di fatto, solo un giovane qualificato su due, ora, ha un contratto a tempo indeterminato. Ma lo studio documenta qualcosa di peggio di una difficile situazione lavorativa: lo spegnersi delle speranze. In base al modello elaborato dai ricercatori della Banca d’Italia, le probabilità di migliorare il proprio contratto che, negli anni ’70-’80, erano del 40 per cento, scendono, trent’anni dopo, al 14 per cento.
E la famiglia? E’ quello che rende possibile tirare avanti. Fornisce un tetto: è sempre più alta, praticamente da record, la quota di italiani, anche vicini ai 40 anni, che restano nella casa dei genitori, dove si assicurano vitto, alloggio e qualche integrazione di reddito, nei periodi senza lavoro. Ma risulta anche, spesso, decisiva nel determinare il percorso lavorativo. E, qui, lo studio di Bankitalia rivela una differenza cruciale fra Prima e Seconda Repubblica o, se preferite, fra l’Italia dello Stato sociale e quella della flessibilità.
A cavallo degli anni ’80, ci sono due formidabili ostacoli sulla strada del mondo del lavoro: essere donna ed essere del Meridione. Vent’anni dopo, si potrebbe dire, tutti i giovani sono donne e del Sud: la differenza negativa è scomparsa, trovare un lavoro è ugualmente duro per tutti. Ma la variabile che fa la differenza, allora, come oggi, è la professione del padre. Un papà professionalmente qualificato e in una posizione sociale elevata è il passaporto più sicuro per la carriera. Lo era prima e lo è ancora. Questa ipoteca sulla uguaglianza e sulla mobilità sociale ha cambiato, però, non natura, ma posizione. Secondo le simulazioni dello studio, nell’Italia degli anni ’70, papà era in grado di aprire la porta del mondo del lavoro. La professione paterna era il passe partout per raggiungere il traguardo del posto fisso. Dopo la grande frattura degli anni ’90, invece, neanche un padre ben piazzato è in grado di trovare al figlio un buon posto di lavoro. E’ dura anche per lui.
Ma papà torna cruciale dopo. La professione del padre appare, infatti, come la variabile più significativa nelle tappe successive del calvario del giovane precario: se, all’ingresso del mondo del lavoro, neanche il padre ben piazzato era riuscito a sistemare il figlio o la figlia, è la carta migliore perchè ci si riesca al secondo, terzo, quarto giro. E’ un’ipoteca non piccola sull’ascensore sociale del paese. Perchè significa che, chi non può contare sull’appoggio della famiglia, rischia di rimanere confinato nei gironi meno appetibili del mondo del lavoro.
Maurizio Ricci