Crescete e consumate. Una volta questo era il ritornello spensierato dei guru del marketing. Adesso è la severa esortazione di usualmente sobri e austeri banchieri centrali (anzi, sobrie e austere banchiere, sia in America che in Europa, con la Yellen e la Lagarde). Una sorta di mistica del rimbalzo: la ripresa è vicina e, per coglierla, bisogna spendere. C’è in giro, infatti, una inaspettata ventata di ottimismo. Il mondo gira più in fretta, dicono i dati e siamo in anticipo rispetto alle previsioni.
Nel primo trimestre, gli Usa sono cresciuti dell’1,6 per cento e adesso si prevede un’espansione del 6,4 per cento nel 2021. Negli stessi mesi, invece, l’Europa, preda di una terza ondata da virus, sostanzialmente risparmiata agli americani, è andata indietro: meno 0,6 per cento per l’eurozona. Ma si temeva peggio e l’anno segnerà, in Europa, una crescita oltre il 4 per cento. Una traiettoria più deludente, ma attenzione alle analisi più recenti di molti economisti. A questo ritmo, infatti, l’America recupererebbe il livello del Pil 2019 questa estate, sei mesi prima di quanto avesse previsto, appena prima di Pasqua, il Fondo monetario. L’eurozona, invece, per Natale, sei mesi dopo gli Usa, ma anche sei mesi prima delle previsioni sempre del Fondo, che aveva collocato il recupero europeo al livello pre pandemia per metà 2021. Insomma, siamo in ritardo sugli americani, ma ciò che conta è che anche noi stiamo accelerando e avvicinando la ripresa: sei mesi prima di quanto l’Fmi avesse valutato appena quattro settimane fa.
La chiave, naturalmente, sono le campagne di vaccinazione che, finalmente, stanno prendendo velocità. Il divario nella ripresa fra Europa e Usa lo determinano, infatti, soprattutto proprio i vaccini. Sostanzialmente, l’Europa accusa un ritardo di circa due mesi nelle vaccinazioni di massa rispetto all’America di Biden: siamo adesso, dove gli Usa erano a inizio marzo. E questo spiega in larga misura perché il grosso delle ripresa americana ci sarà nella prima metà del 2021 e il grosso di quella europea nella seconda metà. Tuttavia, non saranno riprese uguali: nonostante le imponenti misure di stimolo messe in campo dalla Casa Bianca, il rilancio europeo potrebbe essere più deciso, prolungato e consistente. Se parte, però: al momento, è invece più incerto.
La differenza la fanno i consumi. Nonostante il ruolo cruciale dei programmi di stimolo e rilancio, come i piani di Biden o il Ngeu della Ue, i soldi pubblici non bastano a rianimare il corpaccione dell’economia. Perché si rimetta a camminare, bisogna che si riaccenda il grande motore dei consumi. Deve tornare, insomma, la domanda che, in una economia avanzata, è anzitutto quella dei consumatori. Da questo punto di vista, la pandemia, con quarantene, lockdown e chiusure ha creato un arretrato di domanda, che gli economisti sono in grado di misurare: sono i soldi che la gente, abitualmente, spende e che, in questi mesi, invece, non ha speso. Li troviamo in quanto sono aumentati, in percentuale sul Pil, i risparmi delle famiglie, rispetto alla media del 2018 e 2019.
Apparentemente, su questo parametro sono favoriti gli americani. I risparmi in più, in tasca alle famiglie, rispetto al trend è (dati 2020) pari all’8 per cento del Pil, quasi il doppio di quanto si è verificato nell’eurozona. Ma le famiglie americane non soffrono di domanda arretrata. Secondo i calcoli dell’ufficio studi di Unicredit, questi risparmi sono quasi tutti frutto delle massicce iniezioni di liquidità che l’amministrazione americana ha destinato alle famiglie americane: meno di un decimo di quei risparmi sono il risultato di spese e consumi rimandati e rinviati. Gli americani hanno continuato a comprare, anche in questi mesi, più o meno quel che volevano e non hanno ragione di precipitarsi oggi a svuotare negozi e centri commerciali. La corsa alla spesa sarà moderata e la parte maggiore di quei risparmi resterà in banca.
Del tutto diversa la scena in Europa. Dove, invece, i risparmi sono stati quasi sempre forzati. Tre quarti di quei soldi in più in banca non sono sussidi governativi parcheggiati, ma il risultato di una drastica decurtazione del livello abituale di consumi. Nel caso italiano, questo, secondo i dati Unicredit, risulta in modo anche più vistoso. I risparmi in banca, rispetto ai tempi normali, sono più alti per una cifra pari al 7 per cento del Pil, circa 120 miliardi di euro. Si tratta, quindi, del risultato di un’applicazione di massa dell’arte di stringere la cinghia. Ma, adesso, ci sono munizioni per 120 miliardi di euro (metà di tutta la dotazione di aiuti europei per l’Italia) da scaraventare sul mercato per recuperare le spese perdute. Un boom di consumi arretrati che trasformi la ripresa in una turboripresa.
Andrà così? Il punto è proprio questo. Le analisi compiute dagli economisti della Bce dicono che almeno metà di quei risparmi forzati non sono il risultato di quarantene e lockdown che hanno reso, se non impossibile, più difficile spendere e che oggi potrebbero, finalmente, essere utilizzati a mente leggera. Al contrario, sono soldi tenuti da parte per far fronte a tempi peggiori, alle paure legate alla pandemia e alla recessione. Scongelare quelle riserve non è una operazione semplice, né scontata. Richiede il ritorno di fiducia e certezze: è il compito più difficile, ma decisivo, che tocca a politici e banchieri centrali nei prossimi mesi.
Maurizio Ricci