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Home - Approfondimenti - Analisi - L’altro 60%

L’altro 60%

di Roberto Polillo
8 Ottobre 2014
in Analisi
L’altro 60%

La fisica moderna nel riordinare il mondo fisico in un sistema coerente ha disegnato una nuova  gerarchia tra  visibile e invisibile.  E la maggior parte  della materia che  costituisce il nostro universo e i nostri corpi  è in realtà una  “ black matter”, una materia scura di cui nulla sappiamo;   intuibile per gli effetti gravitazionali che essa determina ( a partire dalla velocità circolare delle  galassie) ma   invisibile ai nostri occhi e ai nostri strumenti. Il mondo sociale non è diverso; e dietro ogni organizzazione complessa, partito  o leader si muovono forze apparentemente  invisibili che danno “forma” a  tali soggetti. Il cerchio magico di Bossi, le società a scatole cinesi di Berlusconi, le cooperative  rosse e il vecchio Montepaschi vicine alla sinistra “storica” ne sono un esempio. A questo destino non si sottrae neanche Renzi , e il suo cosiddetto giglio d’oro con tanto di finanzieri, industriali,   banchieri e  ridenti uomini e donne di successo,  non è diverso dai precedenti. Non è dunque questa la novità. Il fatto nuovo è la sintesi hegeliana operata da Renzi tra destra e sinistra tra termini tradizionalmente antinomici; la sua riproposizione, finora vincente,   delle ricette della destra che Berlusconi aveva tentato invano di tradurre in dispositivi.  Il fatto nuovo è la stragrande maggioranza ottenuta in Direzione del Partito che ha messo all’angolo il dissenso e le diverse minoranze che lo esprimevano. C’è in questo un vero cambio di paradigma, una variazione di fase   che Giuliano Ferrara  vede come un passaggio di testimone ( da Berlusconi a Renzi); come  un triplo salto  generazionale che ha spazzato via  i ferri vecchi della politica, noiosi e attaccati alla poltrona,  portando al potere a una nuova genia di uomini:   giovani, belli  e post-ideologici.

Anche questa è tuttavia una narrazione parziale. La vera domanda riguarda invece la composizione sociale degli elettori che esprimono la loro preferenza per la “strana maggioranza” di sinistra/destra che sostiene Renzi e che si sostanza  in Parlamento nella fortissima concordanza di  voto tra parlamentari appartenenti al PD e al PdL

Questi due partiti , a ben vedere,  rappresentano meno del 40% della popolazione. Quella parte della società che la crisi  ha solo lambito , ( o in piccola parte rafforzato) e che, aldilà delle differenze ideologiche,  sempre più labili,   condivide la  certezza di uscire prima o poi dal tunnel della recessione. La parte restante  della popolazione è stata invece scaraventata dalla crisi  nel fondaccio  senza speranza,  e questo  60% non appartiene a nessuno  dei due partiti e  affolla in modo confuso  le file dell’astensionismo cronico , del grillismo palingenetico  e del rancorismo leghista. Cosa possono dire a questi uomini senza prospettiva i dirigenti del PD, del PdL e  del Sindacato salottiero?  Cosa  hanno in comune i tanti esponenti della politica tradizionale che si ritrovano insieme in Tribuna Montemario allo Stadio Flaminio o che risiedono in Prati e nei quartieri della Roma bene, con i diseredati senza speranza che affollano le periferie urbane o il meridione ripiombato nel medio Evo?

Questo è il vero problema: gli stili di vita  tra esponenti di centrodestra e centrosinistra sono  talmente sovrapponibili da rendere impossibile per quel 60% e più di popolazione, sprofondato in  una apocalisse senza escathon,  di riporre la ben che  minima fiducia nei politici  tradizionali: in soggetti che appaiono, nella ipotesi migliore, privilegiati indifferenti e totalmente lontani dai problemi reali della gente comune,   Certo,  c’è sempre una gerarchia nelle responsabilità.  E il gioco che fanno i Renziani di attribuire la  colpa della precarietà dei giovani e delle diverse decine di tipologia di contratto precario esistente ai sindacati è solo retorica a buon mercato. Eppure i renziani hanno ragione nel sostenere che la percezione dei giovani sia in parte anche questa!  Perché il sindacato con i suoi riti, difficilmente comprensibili, e con il travaso  di molti  suoi dirigenti dalle confederazioni ai banchi del governo e del parlamento,  ha purtroppo alimentato questa immagine di essere anche esso parte del sistema. E non per nulla leader ruvidi come  Landini demarcano una differenza;  e questa  vicinanza anche somatica ai lavoratori che rappresenta lo rendono  alternativo non solo ai suoi interlocutori politici  ma anche a molti suoi colleghi di sindacato,  Susanna Camusso compresa.

La convergenza al centro tra i due principali partiti nasce dunque,  a mio avviso,  dalla  sovrapponibilità non marginale della propria base elettorale; ma questa è solo una piccola parte dell’intera società e allora il vero problema è di fare rientrare nel gioco democratico quella parte  maggioritaria della popolazione senza speranza oggi espulsa dal lavoro e da una  rappresentanza politica che sappia assumersi le proprie responsabilità.

 

Roberto Polillo

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