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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - L’autonomia regionale è una bomba sulla sanità

L’autonomia regionale è una bomba sulla sanità

di Maurizio Ricci
22 Aprile 2024
in Poveri e ricchi
Sindacati, interrotta la trattativa per il rinnovo del contratto del settore privato

Bulimia, anoressia, celiachia, endometriosi. Il governo aveva promesso che, da quest’anno, le prestazioni relative a queste malattie sarebbero state gratis nella sanità pubblica. Poi ha spostato lo start da gennaio ad aprile. E poi ancora al prossimo gennaio (visto come vanno le cose, è il caso di aspettare e vedere). Ma questo non vale per tutti gli italiani. In 12 Regioni (soprattutto al Nord) le prestazioni saranno ugualmente disponibili da subito, perché nei loro bilanci le risorse necessarie ci sono.

Nel suo piccolo, la storia racconta con stringata nitidezza perché il progetto di autonomia regionale, che il leghista Calderoli conta di condurre in porto al più presto, sia una bomba destinata a frammentare ancora di più la realtà squilibrata del paese. L’ulteriore redistribuzione delle risorse nazionali a favore delle Regioni più ricche, infatti, allarga un divario, che si può riassumere in due parole: la vita e la morte, in Italia, sono una variabile geografica. Lo ha appena documentato un rapporto della Corte dei conti: chi vive a Trento può contare di vivere tre anni di più, rispetto a chi vive in Campania. Eppure, il dato più impressionante è un altro, al di qua della morte: chi vive a Bolzano può contare di stare in buona salute, senza patologie gravi o invalidanti, 16 anni di più di chi vive in Calabria. Sedici anni: una enormità, una autentica fetta di vita da riempire, ma solo per i più fortunati.

Il dibattito sui figli e figliastri dell’autonomia e sui Lea, i Livelli essenziali di assistenza, che andrebbero garantiti, prima di sparigliare le risorse fra le Regioni, è tutto in queste due cifre. Non bastano i Lea a garantire una buona salute a tutti, perché l’essenziale è troppo poco. Ma il problema è che la distanza fra i Lea delle diverse Regioni è troppo vasto per essere colmato in tempi serrati e con gli spiccioli contati, come nell’Italia di oggi.

Lo documenta ancora la Corte dei conti. I Livelli essenziali di assistenza si misurano su tre direttrici: la prevenzione (i controlli, gli screening); il territorio (i medici di base, gli ambulatori): gli ospedali. Secondo il rapporto dei magistrati contabili (gli ultimi dati disponibili sono del 2022) l’assistenza è sufficiente, sull’intero territorio nazionale, solo negli ospedali, che sono il comparto più complicato e difficile, ma anche l’ultimo passaggio di una sanità efficiente.

Nel campo della prevenzione, tutto il Nord (tranne la Liguria) assicura prestazioni sufficienti, mentre tutto il Sud, Lazio compreso, non arriva al 60 per cento. Fanno eccezione Puglia e Basilicata. Per quanto riguarda la sanità sul territorio (quella che fa davvero la differenza per la salute di massa) le prestazioni sono insufficienti in Campania e Sardegna e, in modo vistoso, in Basilicata e in Calabria.

Per raddrizzare queste storture occorrerebbe uno sforzo storico, che non è negli orizzonti  della destra (non solo italiana), ideologicamente portata a tagliare il welfare – sussidi ai poveri, sanità, pensioni – per alleggerire, invece, le tasse. E, infatti, gli investimenti nella sanità si fanno sempre più esangui: l’aumento in cifra assoluta, dietro cui si trincera Giorgia Meloni (peraltro, inghiottito dagli esborsi per i rinnovi dei contratti del personale) è peggio di un gioco delle tre carte. Nessun parametro del bilancio pubblico (si scorra il Def per conferma) viene mai fornito in cifra assoluta, ma solo in percentuale sul Pil, cioè sulle risorse nazionali. Come è ragionevole, visto che si tratta della ripartizione delle risorse disponibili.

E la quota del Pil destinata alla sanità si fa sempre più magra, non il contrario. Su 100 euro disponibili a testa, ogni italiano ne riceve, per la sanità, meno di 7. Francesi e tedeschi più di 10. Anche in Spagna la spesa pro capite per la sanità (7,3 euro su 100) è più alta che in Italia.

Meglio avrebbe fatto Giorgia Meloni a far notare che i governi precedenti non hanno fatto molto meglio, anche se nessuno di loro ha potuto contare sul rimbalzo del Pil, come quello registrato dopo la pandemia. Comunque, fra il 2016 e il 2022, la spesa per la sanità è aumentata del 6,6 per cento. Un quarto di quanto è salita, negli stessi anni, in Francia, in Germania e anche in Spagna, tutti oltre il 25 per cento.

E, allora, come si curano davvero gli italiani? Il 60 per cento delle visite specialistiche, ormai, avviene fuori dalle strutture pubbliche. Il 20 per cento di tutto quello che, in Italia, viene speso per la sanità esce direttamente dai portafogli degli italiani e finisce nelle tasche degli imprenditori privati. In Francia e in Germania ci si ferma al 10 per cento. Ecco come, in concreto, si riempie il buco nei Lea.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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