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Home - Notizie del giorno - Lavoro, cala il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali e aumenta la povertà tra chi lavora: il Rapporto annuale dell’Istat

Lavoro, cala il potere d’acquisto delle retribuzioni contrattuali e aumenta la povertà tra chi lavora: il Rapporto annuale dell’Istat

21 Maggio 2025
in Notizie del giorno, In evidenza
Istat, nel III trim tasso disoccupazione stabile all’11,2%, aumentano precari

Tra il 2019 e il 2024 le retribuzioni contrattuali hanno perso il 10,5% in termini di potere d’acquisto e alla fine del 2024 la crescita delle retribuzioni contrattuali per dipendente è stata pari al 10,1 per cento rispetto all`inizio del 2019, a fronte di un aumento dell`inflazione (Ipca) pari al 21,6 per cento. È quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istat.

Nel caso delle retribuzioni lorde di fatto per dipendente stimate dalla Contabilità nazionale (che includono gli effetti degli accordi decentrati e dei cambiamenti nella composizione dell`occupazione), dal 2019 al 2024 la perdita di potere d`acquisto è stata più contenuta e pari al 4,4 per cento in Italia, al 2,6 per cento in Francia e all`1,3 per cento in Germania, mentre in Spagna si registra un guadagno del 3,9 per cento.

Contemporaneamente la povertà colpisce anche chi ha un lavoro. Si diffonde, infatti, la vulnerabilità economica con l`aumento delle persone che lavorano ma i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato. Nel 2023, il 21% dei lavoratori risulta a basso reddito. Questa condizione è più frequente tra le donne (26,6%), i giovani con meno di 35 anni (29,5%) e i cittadini stranieri (35,2%). Tale vulnerabilità colpisce, inoltre, più spesso i lavoratori autonomi (28,9%) e i dipendenti con un contratto a termine (46,6%).

In tema di forza lavoro, inoltre, emerge che nel 2024 le persone che potrebbero lavorare ma non lo fanno sono circa 3,8 milioni. Di questi, 1,7 milioni sono disoccupati e 2,1 milioni sono inattivi che non cercano lavoro ma potrebbero essere disponibili, oppure che lo cercano senza essere disponibili nell`immediato. Anche in questo caso la platea è composta in misura maggiore da donne e giovani sotto i 35 anni, cui si aggiungono i residenti nel Mezzogiorno e le persone con un basso titolo di studio.

Annoso problema dell’Italia, poi, è quello dei Neet, giovani tra i 15 e 29 anni che risulta non più inserita in percorsi scolastici o formativi né tantomeno impegnati in un`attività lavorativa. Nell`Ue27, l`Italia, nonostante il calo di 7 punti percentuali dal 2019, con il 15,2 per cento, è seconda solo alla Romania. Nel Mezzogiorno l`incidenza raggiunge il 23,3% (9,8% nel Nord e 12,9% nel Centro); il 16,6% tra le donne (13,8% tra gli uomini) e il 23,7% tra gli stranieri (14,3% tra gli italiani).

Complessivamente, e nonostante la crescita dal 2020, l`Italia registra il tasso di occupazione più basso dell`Ue27: nel 2024 è pari al 62,2% tra 15-64 anni, con un divario di oltre 15 punti percentuali con la Germania e quasi 7 punti con la Francia. Il divario è particolarmente ampio tra i giovani (15-24 anni): 19,7%, -31,3 punti dalla Germania.

Il tasso di disoccupazione (al 6,5%) si mantiene sopra la media Ue27 (5,9%) e, nel confronto con le maggiori economie dell`Ue27, rimane inferiore rispetto a Spagna (11,4%) e Francia (7,4%). Il tasso di inattività in Italia è il più elevato dell`Ue27 (33,4% contro una media del 24,6%). La bassa partecipazione al lavoro riguarda soprattutto la componente femminile: nel 2024, il tasso di inattività delle donne raggiunge il 42,4%, oltre 13 punti superiore alla media europea.

Prosegue comunque la crescita degli occupati, la cui stima nel 2024 si attesta a 23,9 milioni (+352mila, +1,5% in un anno; +823mila, +3,6% rispetto al 2019). Nell`ultimo anno, oltre l`80% della crescita è dovuta all`aumento degli occupati con 50 anni e oltre (+285mila, +3%).

Sul fronte economico l`Italia, in particolare dopo il Duemila, è stata caratterizzata da una crescita economica contenuta e da una dinamica molto debole della produttività. Dal 2000 al 2024, il Pil in Italia è aumentato del 9,3 per cento in termini reali: nello stesso periodo la crescita è stata di circa il 30 per cento in Germania e Francia e di oltre il 45 per cento in Spagna.

Tra il 2000 e il 2024 l`occupazione è aumentata in misura analoga a Francia e Germania, ma trainata da settori dei servizi a ridotta produttività e alta intensità di lavoro. Il peso delle professioni qualificate nell`occupazione è cresciuto, anche se in misura minore rispetto alle altre grandi economie europee, e negli anni più recenti è aumentata l`importanza dell`occupazione in professioni Ict, fondamentale per la competitività.

Dal lato dell`offerta, le generazioni che si sono affacciate sul mercato del lavoro sono decisamente più istruite di quelle che le hanno precedute ed è aumentata in misura altrettanto notevole la partecipazione femminile.

Per la perdita sostanziale di potere d`acquisto associata all`inflazione nel 2021-2022, il reddito medio da lavoro per occupato nel 2024 risulta inferiore rispetto al 2004. Nello stesso periodo, l`aumento della partecipazione al lavoro, la riduzione della dimensione delle famiglie e la maggiore diffusione della proprietà della casa d`abitazione hanno più che compensato tale riduzione in termini di reddito familiare equivalente.

Considerando il periodo tra il 2011 e il 2022 sono invece cresciuti sia la quota di adulti con redditi da lavoro, sia il reddito mediano reale. Le disuguaglianze territoriali restano forti, con incrementi ampi di occupazione nelle grandi città metropolitane del Centro-nord, dove anche la popolazione ha continuato ad aumentare, e minori o negativi in parte del Mezzogiorno e alcune aree del Centro-nord in declino industriale.

L`istruzione continua a garantire un premio salariale, crescente nell`arco della vita lavorativa, ma la mobilità sociale è complessa e condizionata dalle caratteristiche della famiglia d`origine, a partire dal livello e dal tipo di istruzione conseguito. Sul fronte dell’istruzione in Italia si registra un miglioramento dei livelli medi, ma persistono ampi divari rispetto alla media dell’UE27. Le competenze digitali, sempre più centrali nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana, mostrano livelli ancora insufficienti soprattutto se confrontati con l’obiettivo fissato dal programma strategico UE per il decennio digitale. In particolare, ricorda l’Istat, nel 2023, solo il 65,5 per cento dei 25-64enni possiede almeno un diploma di scuola secondaria superiore, contro il 79,8 per cento della media UE27.

Il divario è ancora più ampio sul fronte dei laureati: appena il 21,6 per cento in Italia, a fronte del 35,1 per cento nella media europea e quote doppie in Francia e Spagna. Il ritardo riguarda anche le generazioni più giovani, in particolare per l’istruzione terziaria: tra i 25-34enni, il 31,6 per cento ha un titolo terziario nel 2024, un dato in crescita ma ancora lontano dall’obiettivo europeo del 45 per cento entro il 2030.

L’abbandono scolastico precoce, seppur in calo, rimane una criticità. Nel 2024, il 9,8 per cento dei giovani tra 18 e 24 anni lascia il sistema di istruzione e formazione senza aver conseguito un titolo secondario superiore. Il fenomeno è più diffuso tra gli uomini (12,2 per cento), nel Mezzogiorno (12,4 per cento) e tra i giovani con cittadinanza straniera (24,3 per cento).

Le competenze digitali, spiega ancora il rapporto Istat, restano insufficienti per raggiungere gli obiettivi europei. Nel 2023 solo il 45,8 per cento degli italiani tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali almeno di base, contro una media UE27 del 55,5 per cento e obiettivi europei che puntano all’80 per cento entro il 2030. Persistono forti divari territoriali, generazionali e di istruzione. Nel Mezzogiorno la quota di cittadini con competenze digitali almeno di base è pari al 36,1 per cento, contro il 50 per cento circa nel Centro-nord. Il divario tra giovani (16-24 anni) e adulti (45-54 anni) è di 10 punti percentuali a sfavore dei secondi. Le differenze legate all’età si attenuano tra i più istruiti. Le donne risultano svantaggiate solo nelle fasce d’età oltre i 45 anni.

Infine, l`invecchiamento della forza lavoro e il rafforzamento del capitale umano hanno inciso in modo differenziato sul sistema produttivo. Le imprese con giovani qualificati hanno maggior successo economico, mentre il ricambio generazionale costituisce un problema per quelle più piccole e meno efficienti.

In questo quadro, sempre nel 2024, oltre un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale: il 23,1% della popolazione, sostanzialmente stabile rispetto al 2023, ricade in almeno una delle tre condizioni che definiscono il rischio di povertà o esclusione sociale: rischio di povertà (18,9%), grave deprivazione materiale e sociale (4,6%), bassa intensità di lavoro (9,2%).

Il Mezzogiorno resta l`area più esposta al rischio di esclusione sociale. L`incidenza raggiunge il 39,8% nel Sud e il 38,1% nelle Isole. L`incidenza è più bassa per chi vive in coppia senza figli, soprattutto se la persona di riferimento della famiglia ha almeno 65 anni (15,6%), ed è invece quasi doppia per gli individui che vivono in famiglie in cui il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni (30,5%).

Le previsioni economiche più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all`andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell`evoluzione delle politiche commerciali globale, e sono comprese tra +0,4 (Fmi) e +0,6 per cento (Banca d`Italia e Mef). Le prospettive per l`anno in corso “sono tuttavia condizionate dalle possibili evoluzioni delle tensioni geopolitiche internazionali che rendono ogni previsione soggetta ad ampi margini di incertezza”.

Nel 2024 l`economia italiana ha continuato a crescere a un ritmo moderato, +0,7 per cento, come nel 2023. La crescita del Pil è stata superiore in Francia (+1,2 per cento) e Spagna (+3,2 per cento), mentre la Germania ha sperimentato il secondo anno di contrazione (-0,2 per cento, -0,3 nel 2023). I primi mesi del 2025 “sono stati caratterizzati da forte incertezza sulle prospettive a breve, soprattutto per i rischi circa l`evoluzione degli scambi associati alle decisioni di politica commerciale degli Stati Uniti”.

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