Negli ultimi anni il settore agroalimentare si è affermato come asset strategico per la crescita del Paese e per la sovranità alimentare. Un ruolo importante e sempre più riconosciuto, anche grazie alle battaglie del sindacato, è certamente quello delle donne, che in agricoltura rappresentano il 32% su 1 milione di operai e il 47% sui circa 30mila impiegati. Segnali incoraggianti si riscontrano anche per le imprese agricole rosa, oltre il 31% del totale. Idem nell’industria alimentare, dove le donne sono circa un terzo degli occupati. La crescita della presenza femminile, anche in ruoli apicali, lascia ben sperare, ma abbiamo tanto margine di miglioramento laddove le donne rimangono troppo spesso svantaggiate per diversi fattori, come una maggiore discontinuità stagionale, o le dinamiche che penalizzano, anziché favorire, la maternità, fino ad arrivare ai vergognosi fenomeni di sfruttamento e caporalato, che quando colpiscono le donne si legano anche a casi di ulteriori discriminazioni, violenze, ricatti sessuali.
I passi avanti non sono mancati, perché soprattutto attraverso le relazioni industriali e sindacali, la bilateralità, e con le buone pratiche contrattuali, sia nazionali che di secondo livello, abbiamo riservato sempre maggiore attenzione al tema delle pari opportunità, rafforzando tutti gli strumenti che possono favorire la condivisione dei carichi familiari, la prevenzione delle discriminazioni di genere, la cultura del rispetto in tutti i luoghi di lavoro. Altro strumento vincente, sarà certamente quello della certificazione della parità di genere, che ha dimostrato di essere una leva di supporto per l’occupazione, la crescita manageriale femminile, la natalità, il benessere aziendale, nonché per la competitività delle imprese che l’hanno sperimentata. Motivo per cui questo strumento merita di essere valorizzato anche in agricoltura e in tutti quei settori dove ancora non si è affermato, inserendo criteri di premialità in tutte le gare di appalto a favore dei fornitori che avranno conseguito a loro volta la certificazione per la parità.
Certo la certificazione ha dei costi, per questo lo strumento va sostenuto anche dalle istituzioni. Così come dalle istituzioni serve un supporto forte per mettere fine all’orribile bollettino delle violenze prodotte da una cultura patriarcale che non riconosce alla donna pari diritti, libertà, possibilità di autodeterminazione, di indipendenza economica. Il cambiamento c’è, ma deve essere più concreto e partecipato. Motivo per cui continueremo a monitorare gli accordi presi e a incalzare parti sociali, imprese, enti, Governo e Parlamento, affinché siano evitate quelle pratiche di “pinkwashing” che permettono di colorare di rosa l’immagine di un’azienda senza poi apportare i dovuti cambiamenti per una concreta parità. Perché non serve un cambio di immagine, ma un progresso reale che coinvolga tutti nel percorso dell’empowerment femminile. Nella consapevolezza che la disparità non penalizza solo le donne, ma tutta la collettività.
Onofrio Rota, Segretario Generale FAI CISL