Gli immigrati sono il salvagente a cui aggrapparsi prima che l’Italia affondi, laddove crisi demografica significa recessione economica. Ma gli ideologismi gridati continuano a respingere questa consapevolezza in nome di una presunta sovranità culturale che in venti e più anni di globalizzazione selvagia si sperava superata (o comunque ben digerita). A venirci in soccorso consapevolezza è ancora una volta la raccolta dati e la statistica: secondo quanto emerge dal Rapporto annuale 2023 sull’economia dell’Immigrazione, curato dalla Fondazione Leone Moressa e presentato oggi al Viminale e alla Camera dei Deputati, in Italia ci sono 2,4 milioni di lavoratori immigrati che producono 154 miliardi di Pil (9%). L’incidenza sul PIL aumenta sensibilmente in Agricoltura (15,7%), ed Edilizia (14,5%). Tra il 2023 e il 2026 sono previsti altri 574 mila ingressi, ma il fabbisogno di manodopera rimane alto a causa di crisi demografica e gap di competenze.
La popolazione straniera residente in Italia si conferma stabile a quota 5 milioni ad inizio 2023, pari all’8,6% del totale. L’età media degli stranieri è 35,3 anni, contro i 46,9 degli italiani. Gli indicatori demografici spiegano bene la diversa tendenza: tra gli stranieri vi sono 11 nati ogni mille abitanti e 2 morti; tra gli italiani, 6,3 nati e 13,0 morti per mille abitanti. Significativo anche il numero di stranieri “naturalizzati” italiani: 133 mila nel 2022, per un totale di 1,4 milioni negli ultimi 11 anni.
Il Rapporto evidenzia che continua a crescere il numero di imprenditori immigrati. Nel 2022 sono 761 mila (10,1% del totale).
Dopo la pandemia, torna a crescere il numero di contribuenti immigrati. Si tratta di 4,3 milioni di contribuenti (10,4% del totale), che nel 2022 hanno dichiarato redditi per 64 miliardi di euro e versato 9,6 miliardi di Irpef.
Rimane alto il differenziale di reddito pro-capite tra italiani e immigrati (circa 8 mila euro annui di differenza), conseguenza diretta della concentrazione occupazionale.
Rimane positivo il saldo tra il gettito fiscale e contributivo (entrate, 29,2 miliardi) e la spesa pubblica per i servizi di welfare (uscite, 27,4 miliardi), con +1,8 miliardi di euro in attivo. Gli immigrati, prevalentemente in età lavorativa, hanno infatti un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni.
e.m.