Nel periodo 2020-21 i lavoratori delle piattaforme digitali sono 570.521. Non solo rider, ma un insieme eterogeneo di lavoratori che svolgono attività che vanno dalla consegna di pacchi o pasti a domicilio allo svolgimento di compiti on line (traduzioni, programmi informatici, riconoscimento immagini). E’ la fotografia scattata dall’Inapp nell’indagine ‘Lavoro virtuale nel mondo reale’.
Uno su due sceglie di lavorare per le piattaforme in mancanza di alternative occupazionali (50,7%). Oltre il 31% non ha un contratto scritto e solo l`11% ha un contratto di lavoro dipendente. Si tratta, dunque, di un lavoro povero, fragile. In altri termini, di una nuova precarietà digitale.
Rappresentano l`1,3 della popolazione di 18-74 anni, ovvero il 25,6% del totale di chi guadagna tramite internet. Ai platform worker, infatti, vanno aggiunti coloro che vendono prodotti (piattaforme pubblicitarie) o affittano beni di proprietà (piattaforme di prodotto) per un totale di 2.228.427 di individui (il 5,2% della popolazione tra i 18 e i 74 anni) che dichiarano di aver ricavato un reddito attraverso le piattaforme digitali tra il 2020 e il 2021.
I lavoratori delle piattaforme sono per i tre quarti uomini. Sette su dieci hanno un`età compresa tra 30 e 49 anni, con i giovani tra 18 e 29 anni concentrati soprattutto nella categoria dei lavoratori occasionali.
Il titolo di studio non è particolarmente diverso rispetto a quella della popolazione generale, se non per una maggiore presenza di diplomati. Chi lavora tramite piattaforme come attività principale presenta livelli di istruzione più elevati (dal diploma in su), mentre chi lo fa occasionalmente presenta titoli di studio più bassi. Il 45,1% dei lavoratori delle piattaforme appartiene alla tipologia “coppia con figli” ma la quota sale al 59,1% nel caso di occupati che considerano quella delle piattaforme un`attività secondaria. Al contrario, le persone che occasionalmente collaborano con una piattaforma sono invece più frequentemente single (37,9%).
Il sistema più diffuso per la valutazione del lavoro svolto è quello legato al numero di impegni o incarichi portati a termine (59,2% dei casi) seguito dal giudizio dei clienti (42,1%). Questo conferma la centralità del sistema del cottimo orario nella valutazione effettuata dagli algoritmi sui lavoratori e nell’organizzazione produttiva della piattaforma e suggerisce come per molti lavoratori delle piattaforme non si tratti di lavoro autonomo, ma di lavoro dipendente.
A una valutazione negativa o a una mancata disponibilità nello svolgimento degli incarichi corrisponde in quattro casi su dieci un peggioramento del tipo di incarichi assegnati, con la riduzione nelle occasioni di lavoro più redditizie rispetto al complesso degli incarichi (40,7%). Inoltre, la valutazione negativa determina per il 4,3% dei lavoratori il mancato pagamento della prestazione svolta, fino ad arrivare nel 2,8% dei casi alla disconnessione forzata dalla piattaforma, una sorta di licenziamento occulto.
E.G.