Sarà un inverno duro. Forse, solo il ministro del Tesoro – un insolitamente nervoso e suscettibile Giorgetti – si rende conto delle acque scure e agitate in cui il governo e il paese si stanno infilando, mentre gli altri ministri sembrano più preoccupati di correr dietro alle esigenze delle varie corporazioni di riferimento, si tratti dei tassisti o dei balneari. L’economia italiana sta, infatti, affondando: più in giù e più in fretta di quanto si potesse prevedere qualche mese fa. L’estate è andata male, l’autunno non è meglio. Anche la Banca d’Italia ha smesso di dare una qualche copertura alla pretesa di un aumento del Pil dell’1,2 per cento l’anno prossimo, come è scritto nella Finanziaria in Parlamento. Nel 2024, avverte il nuovo governatore nella sua prima uscita pubblica, lo sviluppo sarà inferiore all’1 per cento. Con tutto ciò (ma questo Panetta lo lascia solo intendere) che significa per bilancio, il deficit, il debito, la manovra.
Paradossalmente, l’umor nero è strettamente collegato ad una buona, anzi buonissima notizia: il crollo dell’inflazione. A novembre, il ritmo di aumento dei prezzi (+ 10 per cento un anno fa) è precipitato allo 0,8 per cento, quasi impercettibile. In Europa, siamo al 2,4 per cento: il 2 per cento inseguito dalla Bce è alle viste. I tanti timori sull’inflazione di fondo – quella al netto di energia e cibo – fuori controllo sono stati smentiti: sulla media trimestrale (per eliminare oscillazioni occasionali), l’inflazione “core” è al 2,6 per cento. Battaglia vinta, insomma, e senza combattere. I tecnici dicono, infatti, che il calo è il risultato del ridimensionamento dei prezzi di gas, petrolio e derivati. Come molti – compresi noi, qui, al Diario – avevano previsto, il picco dell’ottobre dell’anno scorso, con i prezzi del metano schizzati all’inverosimile è stato smaltito. Il confronto sul mese dell’anno precedente inizia a farsi con un indice già sconvolto dalla crisi del metano e, dunque, l’aumento non c’è.
Il problema è che non c’era bisogno di combattere, ma abbiamo sparato lo stesso. Mentre l’inflazione, spontaneamente, rientrava, la Bce si impegnava in una raffica mai vista di aumenti dei tassi di interesse, da zero al 4 per cento in poco più di un anno. E la cosa peggiore è che questa stretta ha poco a che vedere con il calo dell’inflazione, in discesa di suo. I missili sparati da Francoforte non sono, infatti, ancora arrivati tutti a segno: la politica monetaria ha tempi lunghi per dispiegare i suoi effetti e, secondo i calcoli di Bankitalia, solo due terzi della stretta hanno già raggiunto il costo del credito per le imprese, destinato, dunque, a crescere ancora.
La situazione, dunque, è la seguente. L’inflazione rallenta, ma dopo il boom dei mesi scorsi, il livello dei prezzi risulta superiore del 20 per cento rispetto a due anni fa. Ne risente la domanda dei consumatori, colpita anche dal contemporaneo calo dell’occupazione. Sull’economia che giàperde colpi, arriva però la stangata di Francoforte: le imprese si trovano ad affrontare un costo dei prestiti bancari che da zero è schizzato oltre il 5 per cento e, come prevede Bankitalia, salirà ancora e non poco. Panetta lo dice: “la stretta monetaria continuerà a frenare la domanda anche in futuro”. E l’immagine del goffo apprendista stregone è destinata a pesare su Christine Lagarde e compagni. Ancora Panetta: la stretta “si sta rivelando più forte di quanto previsto”.
Anche perché, sulla spinta dell’ala più ortodossa delle banche centrali, la Bce ha messo insieme “una stretta senza precedenti” (sempre Panetta). All’aumento dei tassi si accompagna, infatti, la vendita progressiva del patrimonio di titoli assorbito dalla Bce negli anni scorsi. Rispetto al momento in cui è partita, nell’estate dell’anno scorso, la campagna di aumento dei tassi, la Bce ha ridotto del 30 per cento il suo portafoglio. Ma l’arrivo di questo fiume di titoli sul mercato è un’altra spinta in più all’aumento dei tassi di interesse (il prezzo dei titoli scende e il rendimento, dunque, sale) alimentato anche da una riduzione della liquidità in circolazione, ormai precipitata ai livelli della crisi finanziaria e dei suoi seguiti.
Insomma, un’economia in via di progressivo (quanto inutile) strangolamento. Ne usciremo ammaccati.
Maurizio Ricci