“Gli effetti a lungo termine riferiti ai lavoratori, se reali, riguardano soggetti con impiego nel settore siderurgico nel periodo che va dal 1974 al 1997”. Lo sostiene l’Ilva di Taranto, che oggi ha chiesto alla procura il dissequestro degli impianti dell’area a caldo. Dalle osservazioni alle perizie disposte dal gip, commissionate dalla azienda a diversi esperti, emerge che “sul fronte epidemiologico, gli effetti a lungo termine sulla popolazione generale, se reali, non sono coerenti in maschi e femmine, con un moderato aumento di rischio nei maschi ma una moderata riduzione di rischio nelle femmine, e non sono quindi attribuibili all’inquinamento ambientale”, riporta l’azienda.
“Inoltre gli effetti a lungo termine riferiti ai lavoratori, se reali, riguardano soggetti – è riportato nelle osservazioni – con impiego nel settore siderurgico nel periodo che va dal 1974 al 1997, periodo che non riguarda l’attuale proprietà”. A tutto ciò va aggiunto che la nuova gestione Ilva ha investito “pesantemente nel miglioramento della tecnologia degli impianti con oltre 4,3 miliardi di euro, di cui 1,2 per problematiche ambientali”.
Ancora, sottolinea l’azienda, per molti tumori non sono note correlazioni con l’inquinamento da PM10 (stomaco, prostata, melanomi, ecc.) e per altri (mesoteliomi) l’eccesso deve essere ricercato in esposizioni professionali estranee all’Ilva.
“L’attribuzione all’inquinamento di alcuni eccessi potrebbe essere riferita – conclude l’azienda – alle condizioni ambientali dei decenni passati, considerando anche la lunga storia delle neoplasie la cui pluridecennale latenza è scientificamente accertata”. (LF)