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Home - Approfondimenti - La nota - Maggiori prospettive di carriera e salari più ricchi per chi ha studiato. Ma in Italia meno che altrove. I dati dell’’University Report 2024 di JobPricing

Maggiori prospettive di carriera e salari più ricchi per chi ha studiato. Ma in Italia meno che altrove. I dati dell’’University Report 2024 di JobPricing

di Tommaso Nutarelli
30 Luglio 2024
in La nota
150 ore per il diritto allo studio: un traguardo di conquiste lungo cinquant’anni

UNIVERSITA'TOR VERGATA STUDENTI UNIVERSITARI AULA UNIVERSITARI

Studiare ripaga. Una ricchezza che non risiede unicamente nelle conoscenze e competenze acquisite, o in una maggiore capacità di saper leggere e comprendere il mondo, ma anche sotto il profilo retributivo e della carriera. A dirlo sono i dati dell’Osservatorio JobPricing contenuti nell’University Report 2024 sul valore della formazione terziaria nel mondo del lavoro.

Dunque essere in possesso di una laurea o di un titolo post laurea rende, anche se in Italia meno che in altri paesi. Secondo i dati Ocse chi ha un’istruzione terziaria guadagna il 38% in più di chi ne ha una secondaria. Ma la percentuale della media europea è superiore di 14 punti. Una forbice ancora più ampia per la fascia d’età 25-34 anni: il vantaggio salariale nel nostro paese è del 13%, rispetto al 34% della media del vecchio continente. Se analizziamo la RAL, la retribuzione annua lorda, tra un laureato e un non laureato vediamo che il primo arriva a guadagnare più di 42mila euro rispetto ai 29mila del secondo. E se la comparazione prende come punto di riferimento il titolo di studio si passa dai 26.840 euro di chi ha frequentato solo la scuola dell’obbligo ai 50mila euro di chi è in possesso di un master di II livello.

Ovviamente non tutte le lauree e tutte le università sono uguali. Nel report si legge come un laureato, tra i 24 e i 34 anni, in ingegneria gestionale percepisca una RAL media di quasi 36mila euro, rispetto ai 29.756 euro di un suo collega che ha scelto filologia, lettere, storia o arte. Per quanto riguarda gli atenei, a incidere sono la loro “natura” e la collocazione geografica. Studiare in un’università statale dovrebbe garantire una RAL media di 41.578 euro, rispetto ai 43.502 di una privata e ai 46.499 euro di un politecnico. Inoltre chi consegue il titolo al nord può ambire a una RAL media (43.484 euro) superiore di quattro punti percentuali rispetto al centro (41.731 euro) e del 9% del sud (39.854 euro).

Ma quando si iniziano a vedere i primi frutti del considerevole sforzo economico fatto per laurearsi? Secondo i dati raccolti da AlmaLaurea nel rapporto sulle condizioni di occupazione dei laureati 2023, il salario medio netto mensile per i laureati di primo livello nel 2022 è stato di 1.332 euro, mentre per i laureati di secondo livello di 1.366 euro. A cinque anni dalla laurea il salario medio netto mensile è invece di 1.635 euro per i primi (+18%) e 1.697 euro per i secondi (+19%). Il report di JobPricing mette in luce come tra i laureati e chi non lo è ci sia una crescente divaricazione retributiva con il salire dell’età anagrafica. Si passa da una differenza del 9% tra i 15 e i 24 anni, 25.465 euro di RAL media per i non laureati contro i 27.814 per i laureati, al 68% tra chi ha più di 55 anni, 31.409 rispetto ai 52.766 euro.

Possedere una laurea dovrebbe fornire anche quegli strumenti per occupare non solo ruoli più remunerativi ma anche più alti e intraprendere quindi un percorso di carriera. Certo non sempre le cose sono così. In una situazione di uguale inquadramento, la variazione retributiva tra laureati e non laureati è minima, se non addirittura negativa tra gli operai, dove i laureati guadagnano il 2% in meno. Se prendiamo sempre l’inquadramento come punto di analisi, vediamo che la percentuale di non laureati tra gli operai è del 95%, mentre tra i dirigenti l’80% ha un titolo universitario.

Quindi essere in possesso di un’istruzione superiore ha indubbiamente i suoi vantaggi. Quelli appena analizzati concernono salario e carriera, ma ce ne sono molti altri. Una maggiore istruzione facilita l’ingresso nel mondo del lavoro e la sua permanenza, anche durante i periodi di crisi. La formazione è inoltre un potente antidoto contro le diseguaglianze, è motore dell’innovazione e conferisce alle persone una maggiore capacità nell’apprendere nuove competenze quando necessario.

Di sicuro le sfide sono molte, sospinte anche dall’integrazione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi. Secondo le previsioni Excelsior sui fabbisogni occupazionali per il quinquennio 2023-2027 il mercato del lavoro richiederà sempre più profili altamente qualificati, mentre quelli con basse qualifiche saranno via via più marginali. Nella PA le professioni ad alta qualifica saranno il 64,6%, quelle impiegatizie il 28,9% e quelle a bassa qualifica il 5,6%. Nel privato la situazione tenderà a essere più equilibrata. La quota per le professioni ad alta specializzazione sarà del 31,9%, del 35,2% per profili intermedi e del 32,9% per profili a bassa qualifica.

Permangono, ancora, alcune debolezze tipicamente italiane che il report analizza: l’elevata disoccupazione giovanile, la media di laureati tra le più basse in Europa, la necessità di rafforzare l’offerta formativa nelle discipline STEM e la poca formazione continua – l’8% degli adulti è impegnato in percorsi di aggiornamento professionale contro l’11% europeo – sempre più cruciale. I dati elaborati da JobPricing ci dicono come più basso è il titolo di studio maggiore è il tasso di disoccupazione o inattività. Tra chi è in possesso solo della licenza elementare o media il primo tocca l’11,6% e il secondo 49,4% e il livello di occupazione si attesta solo al 44,7%, mentre chi ha una laurea o un post laurea il tasso di occupazione sale all’81,6%, quello di disoccupazione al 3,9% e di inattività al 15%.

C’è, ancora, il complesso fenomeno del mismatch. Il mancato incontro tra domanda e offerta è sicuramente il suo volto più conosciuto. Se è vero che ci sono competenze più richieste di altre, nel report si legge come il ruolo delle imprese sia più rilevante rispetto alle caratteristiche dei laureati. Il tessuto produttivo italiano, fatto in prevalenza di piccole e micro imprese dove gli indici su ricerca e sviluppo sono in miglioramento ma ancora bassi, non riesce ad assorbire tutte le persone in possesso di un’istruzione terziaria ad alta qualifica. Così molti laureati si ritrovano con competenze che le imprese non sanno come utilizzare. Quindi lavorare in piccole realtà o la diffusione di contratti part time o a tempo determinato innesca la sovra-istruzione, definita anche sottoccupazione o mismatch verticale. In altre parole una parte degli occupati è costretta a rivede al ribasso le proprie aspettative lavorative, andando a ricoprire una posizione per la quale ha un titolo di studio più alto. Le rilevazioni dell’Istat per il Benessere Equo e Sostenibile registrano la lenta ma costante crescita del tasso degli occupati sovra-istruiti, per il 2023 pari al 27,1%. I più colpiti sono donne e giovani, ma tra il 2019 e il 2023 il tasso di sovra istruzione nella fascia 45-54 anni è passato dal 19,6% al 23,8%.

Da ultimo, strettamente correlato alla sotto-occupazione e in alcuni aspetti complementare ad essa, è il cosiddetto mismatch orizzontale. Questo fenomeno si verifica quando i laureati sono impiegati in lavori che non corrispondono al titolo di studio da loro conseguito, nonostante il loro livello di istruzione sia adeguato per il ruolo ricoperto. Una condizione che, secondo Almalaurea, è più comune nei primi anni di lavoro e con il tempo poi tende a migliorare.

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

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Giornalista de Il diario del lavoro.

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