Il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente il deposito del ricorso per violazione dell’articolo 36 della Costituzione se ha applicato “lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo”. È quanto prevede un emendamento alla manovra approvato il Commissione bilancio del Senato e che è quindi entrato nel testo che sarà votato domani in Aula. L’articolo 36 della Costituzione prevede che il lavoratore “ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
La norma stabilisce, quindi, che in caso ci condanna del datore di lavoro per violazione di questo articolo non sono dovuti gli arretrati.
Nel dossier dei tecnici del Senato sugli emendamenti alla manovra approvati si ricorda che “alcune sentenze della Corte di cassazione hanno affermato che i contratti collettivi – anche se stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative – devono essere disapplicati dal giudice qualora i trattamenti economici minimi siano inequivocabilmente non conformi ai princìpi di cui al suddetto articolo 36, primo comma, della Costituzione”. E si chiede quindi di valutare l’opportunità “di chiarire, in relazione all’orientamento giurisprudenziale suddetto, la portata giuridica di tali riferimenti”.
Per la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli, si tratta di “un nuovo e grave attacco ai diritti dei lavoratori da parte del Governo”. Con questo emendamento, sostiene, peraltro “senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali”, il governo “tenta di rendere più difficile la tutela dei salari e il recupero dei crediti retributivi. Zero benefici per i lavoratori, solo attacchi. Si usa la legge di Bilancio su una materia del tutto estranea alla programmazione economica. E palesemente si interviene contro le recenti sentenze della Corte di cassazione in materia di giusta retribuzione”.
“Dopo essere stata cancellata dal decreto Ilva – ricorda la dirigente sindacale – a seguito dell’opposizione delle forze sociali e politiche, la norma viene riproposta stabilendo che il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente la data del ricorso, se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo leader”.
“Il risultato è un indebolimento concreto delle tutele salariali. Una norma che – conclude Gabrielli – neutralizzando cinque anni di arretrati, appare manifestamente incostituzionale e che colpisce i diritti fondamentali dei lavoratori. Non esistono alternative: l’unica soluzione è lo stralcio definitivo. La Cgil contrasterà la norma con ogni iniziativa, in tutte le sedi”.


























