A suo giudizio quale è l’attuale situazione della sicurezza nel mondo del lavoro? È migliorata negli ultimi anni?
Negli ultimi 60 anni di produzione legislativa si sono succedute diverse ipotesi di approccio al tema, che non hanno prodotto il risultato sperato. Non si è ottenuto di diminuire il numero degli incidenti, anzi. Se commisuriamo il numero degli incidenti con l’evoluzione quantitativa delle attività vediamo che c’è un rapporto direttamente proporzionale che si mantiene costante: se cala l’economia calano gli incidenti, ma solo in assoluto, in percentuale restano gli stessi. Neppure l’ultimo tentativo, il Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, presentato e recentemente ritirato dal Governo, ha soddisfatto le aspettative.
Quali sono gli aspetti del Testo unico che non vi piacciono?
Il Testo unico è una necessità. Dovrebbe prevedere un approccio organico, che aiuti a stabilire definizioni e soluzioni condivise, che garantisca una lettura uguale degli stessi accadimenti, che fissi un sistema complessivo, criteri generali comuni a tutti. Del resto, se l’obiettivo base di limitare o eliminare gli infortuni è comune a tutti anche le procedure saranno comuni. Al contrario, il Testo unico ha aiutato solo la de-responsabilizzazione dei datori di lavoro, eliminando le norme che rendono loro responsabili di creare le condizioni per lavorare senza rischi. Al posto di leggi ora ci sono buone prassi e buone norme tecniche.
Quindi c’è la necessità di nuove regole?
Sì, ma il problema non è solo questo. In Italia non c’è la cultura della sicurezza. Per troppo tempo si è andati avanti a forze di campagne a tema, che di volta in volta tentavano di sensibilizzare su argomenti specifici, ma questa metodologia si è dimostrata fallimentare. E’ ormai chiaro che solo un intervento organico può portare a dei risultati
Quali, ad esempio?
Ad esempio, se imparassimo a impostare il lavoro fin dalla sua origine in modo da comprendere la sicurezza per chi lavora, l’impatto ambientale rispetto al territorio in cui si opera e, per le imprese del nostro settore, il fatto che si producono alimenti, allora riusciremmo a guadagnare sia in termini di qualità sia in termini economici. Chi investe da subito i fondi necessari nella sicurezza risparmia rispetto a chi deve adeguarsi alle norme in un secondo momento, dopo l’effettivo avvio dell’attività.
La qualità può essere la chiave per aiutare a migliorare il sistema?
Certamente, adottarla come criterio nel processo produttivo può garantire standard elevati per tutti. Ma qui in Italia solo alcune grandi imprese possono permettersi di adottare procedure di buon livello, sicuramente onerose, sono aziende che godono di grande visibilità, quelle che hanno maggiori responsabilità verso la collettività. Ma la maggior parte delle imprese ha una dimensione media e piccola, sono realtà che non riescono a sopportare i costi per adeguarsi a sistemi qualitativamente elevati.
E allora come possono affrontare le problematiche legate alla sicurezza?
Si potrebbe tentare di riunire insieme le piccole imprese che si trovano in una stessa area e hanno produzioni affini, ad esempio. Si potrebbe, in quella realtà di carattere distrettuale, affidare ai Comitati paritetici la possibilità di offrire i servizi necessari di consulenza e supporto. Realizzeremmo un risparmio generale enorme e le risorse così recuperate potrebbero essere reinvestite nella ricerca di processi migliori o per creare un sistema premiale per coloro che operano nel modo migliore. Si potrebbe pensare a un servizio territoriale esterno, un misto tra pubblico e privato.
La diffusione del lavoro nero anche in agricoltura è un elemento critico che rende difficoltoso conoscere con esattezza l’entità del fenomeno infortunistico, come si può agire su questo fronte?
Una recente indagine di Medici senza frontiere ha messo in luce come, sondando la situazione sanitaria del territorio, si possa arrivare a conoscere il fenomeno degli infortuni. Noi stiamo realizzando un’indagine simile nella zona tra Venosa e Candela, in Basilicata, area in cui è alto l’uso di manodopera straniera. Conoscere la situazione reale è utile, poi, per agire, bisognerà capire come garantire la sicurezza per tutti
Cosa pensa dell’istituzione di una Commissione d’inchiesta parlamentare sulla sicurezza e gli infortuni sul lavoro?
E’ utile. Solitamente i problemi nascono quando si pensa al dopo. Se si ha intenzione di svolgere un’inchiesta sul fenomeno senza scegliere poi di intervenire per eliminarlo o diminuirlo, diventa uno strumento inefficace. Occorrerebbe una certezza sulle scelte successive ai risultati dell’inchiesta.

























