La costante politica del comportamento del presidente del Consiglio nei suoi nove mesi di governo è stato il rifiuto della concertazione. Tutti i maggiori atti di questo esecutivo sono stati messi a punto senza dare alcuno spazio politico alle confederazioni sindacali, e nemmeno a quelle padronali. Monti considera sindacati e confederazioni datoriali come soggetti portatori di interessi di parte e quindi li ha ascoltati, ha registrato le loro richieste, ma nulla di più. Le grandi riforme attuate, sul sistema previdenziale, sul mercato del lavoro, sulle semplificazioni, sulla spending rewue, tutte hanno avuto questo tratto distintivo. Anche quella sul mercato del lavoro, per la quale in realtà il governo ha avviato un confronto con le parti sociali , ma sempre badando a non lasciare loro anche il minimo spazio politico. Un danno grave per le confederazioni, tutte, perché proprio come soggetti politici negli anni queste sono state capaci di dare molto al paese, traendone però uno status politico di estremo rilievo.
La situazione non è cambiata nemmeno in questi giorni. Monti si è rivolto alle parti sociali, è vero, ha detto che è necessario un patto per rilanciare la produttività, ha avviato una serie di confronti tecnici, ma anche in questo caso senza mai uscire dal sentiero che si è scelto. Perché non ha detto di voler stringere in quanto governo un patto con le parti sociali, ha detto che le parti sociali devono raggiungere tra di loro un patto che serva ad accrescere il grado di produttività del sistema produttivo e così facilitare la crescita. Solo in un secondo tempo il governo, valutato questo patto tra le parti sociali e considerando le conseguenze che può avere o che ha già avuto, il governo potrebbe aiutare in qualche modo questo processo, ma sempre con un atto unilaterale, mai concordato con nessuno.
Le parti sociali possono dolersi di questa realtà, non cambiarla. Del resto, Il diario lo ha sottolineato in un intervento di Raffaele Delvecchio, Monti pensa queste cose da venti anni, da quando la concertazione era molto di moda, non si vede perché avrebbe dovuto cambiare idea adesso. Le parti però possono fare qualcosa per migliorare la loro posizione, possono fare il loro mestiere e farlo bene. Quando Monti ha chiesto un accordo sulla produttività, non ha scoperto nulla, tutti sanno che questo è il punto debole del nostro paese, di lì nascono grandi problemi: se i nostri prodotti fossero più competitivi lo stato della nostra economia sarebbe ben diverso, le esportazioni più vivaci, l’occupazione più alta, la domanda interna più fiorente e così via. Ed è vero che la produttività dipende in gran parte dalla soluzione di problemi sui quali le parti sociali non possono assolutamente intervenire, dalla carenza delle infrastrutture all’inazione della pubblica amministrazione, all’influenza negativa della criminalità organizzata e così via. Ma la produttività dipende anche da problemi oggettivi, relativi al modo di lavorare e su questi le parti sociali sono le uniche competenti. E’ su questo tasto dunque che occorre battere.
Lo si può fare con un accordo quadro tra le grandi confederazioni, come suggerisce Monti, o partendo dalle esperienze positive fatte in periferia in tante aziende, come ha ricordato Dario Di Vico sul Corriere della Sera. O lo si può fare nel modo più classico, approfittando delle prossime trattative per il rinnovo dei contratti nazionali dell’industria, in buona parte avviati proprio in queste settimane. I risultati possono essere molto importanti. Non è difficile, basta fare il proprio lavoro, che per il sindacato è rinnovare i contratti, e farlo bene. Ci sono ostacoli, si capisce, anche notevoli, perché a volte raggiungere un accordo sulla produttività può voler dire rinunciare a conquiste anche importanti, ma la strada è quella, ripeto, fare il proprio lavoro e farlo bene.
Nella difficile trattativa che si è svolta attorno alla riforma del mercato del lavoro , proprio quando il governo insisteva perché non voleva dare spazio al sindacato, c’è stato un momento in cui le parti sociali avevano la possibilità di ribaltare la loro posizione e imporsi al governo dettando la loro ricetta. Il governo era in difficoltà, e sarebbe bastato che imprenditori e sindacati si mettessero d’accordo proponendo con un avviso comune una loro precisa indicazione sui punti di maggiore attrito e l’esecutivo non avrebbe potuto non dar loro ascolto, avrebbe dovuto, anche se obtorto collo, accettare quelle indicazioni, dando così ruolo di soggetti politici a sindacati e associazioni padronali. Non c’era molto spazio, giusto un paio di giorni, durante i quali in effetti ci fu un gran lavorio tra le parti sociali. Ma alla fine sindacati e imprenditori non riuscirono a mettere assieme una proposta unitaria, l’unica che avrebbe travolto le ritrosie del governo. Sindacati e imprenditori rimasero chiusi sulle loro posizioni, spesso antitetiche, e si perse una grande occasione. Commettere lo stesso errore adesso perdendo l’occasione dei rinnovi contrattuali sarebbe ancora più grave, sarebbe la dimostrazione di non saper nemmeno svolgere il proprio lavoro.
Massimo Mascini