di Raffaella Vitulano – giornalista
I sindacati europei l’hanno detto più volte a chiare lettere: sono a favore del concetto di responsabilità sociale delle imprese. Anzi, per essere più precisi, vogliono che si affermi sempre di più il valore della Rsi, potenzialmente l’altra faccia di quelle imprese che pensano di competere praticando la logica del dumping e dello sfruttamento delle risorse ambientali.
I giapponesi non ci credono affatto, per loro un’impresa è responsabile se rispetta le leggi ed i contratti e che occorre prevedere sanzioni precise in caso di loro violazione. Negli Stati Uniti l’approccio è più complesso, ma anche storicamente più consolidato. C’è infatti una lunga pratica, nella cultura anglosassone, di definizioni di codici di condotta e di responsabilità sociale. L’Europa non ha mai avuto questo approccio e questa cultura.
“Il nostro punto di riferimento è diverso. Non a caso – spiega Walter Cerfeda, segretario confederale della Ces – il Libro verde sulla Rsi è stato lanciato subito dopo il varo della Strategia di Lisbona. Penso che questo tema riguardi anche o innanzitutto la stessa Commissione europea”. E la Commissione europea, proprio qualche giorno fa, ha annunciato il suo sostegno al varo di un’Alleanza europea per la responsabilità sociale delle imprese, così da mobilitare le risorse e le capacità delle imprese europee e fare dell’Europa un polo di eccellenza in materia di Rsi. Questa nuova Alleanza è aperta e le imprese europee di ogni dimensione sono invitate a manifestare il proprio sostegno su base volontaria. Non si tratta di uno strumento giuridico che le imprese devono sottoscrivere, ma di una cornice politica per le attuali o future iniziative nel campo della Rsi promosse da grandi aziende, Pmi e dai rispettivi stakeholder.
E se le imprese private raggruppate nell’Unice accolgono con favore la nuova Alleanza, i sindacati europei della Ces sostengono in una nota che “malgrado tutte le buone intenzioni, bisogna constatare che il dibattito sulla Rsi rischia di essere fatto senza le organizzazioni che rappresentano la parte sociale”. Dopo il forum dei multistakeholders, la Ces esprime le sue critiche su un “approccio squilibrato, unilaterale della Rsi, che tiene conto di un solo punto di vista: quello delle imprese”. Dato che la Rsi è volontaria, la Ces vuole ricordare che è “indispensabile e fondamentale che venga delineata sulla base di linee d’orientamento da stabilire a livello europeo”. Inoltre, la Ces reitera le seguenti esigenze: l’impegno delle imprese a fornire un rapporto societario annuale sull’attività svolta in termini d’impatto sociale ed ambientale; la promozione degli standard relativi alla governance dell’impresa (certificazione del prodotto finale, trasparenza e qualità di tutta la catena di produzione, comprese la tracciabilità del prodotto, la subfornitura e le delocalizzazioni); i criteri d’accesso per l’utilizzo dei fondi comunitari e l’aiuto ad una loro selezione positiva; l’elaborazione di codici di condotta e/o etichette nel quadro delle procedure e dei controlli stabiliti dalla Commissione, in concertazione con i sindacati e le ong; la costituzione di strumenti e/o agenzie di certificazione che devono corrispondere a criteri verificati per misurarne il carattere legittimo e rappresentativo.
L’Alleanza dovrebbe dar luogo a nuovi partenariati e offrire nuove opportunità di promozione della Rsi a tutti i soggetti coinvolti. L’iniziativa costituisce il seguito di un’ampia consultazione di tutti i protagonisti interessati svoltasi nell’ambito del forum multilaterale europeo sulla Rsi, che ha presentato la sua relazione finale nel 2004. La Commissione propone di convocare nuovi incontri di questo forum nel 2006 al fine di esaminare con tutti i soggetti interessati i progressi compiuti nel campo della Rsi.
“La Commissione non può comunque pensare che il suo solo compito sia solo quello di promozione, di incoraggiamento e non invece un ruolo attivo e diretto nel sostegno all’iniziativa stessa delle Rsi. Tuttavia, non per questo penso che la Commissione debba varare una legge, o meglio una direttiva, sulla materia. La mia opinione – prosegue Cerfeda – è che la Rsi non può essere imposta per legge. Deve rappresentare invece una scelta volontaria che l’impresa compie. Volontaria sì, unilaterale no. Questo è un passaggio chiave”.
Le imprese europee sono invitate a manifestare il proprio sostegno su base volontaria. Ma com’è possibile indurre un maggior numero di imprese europee ad andare al di là degli obblighi minimi di legge, a favore della società e dello sviluppo sostenibile? In altre parole, com’è possibile promuovere un maggior impegno delle imprese a favore della responsabilità sociale delle imprese.
Per Günter Verheugen, vicepresidente della Commissione e responsabile per l’industria e le imprese, “questa Alleanza contribuirà a trovare una sintesi tra le ambizioni economiche, sociali e ambientali europee. La Commissione ha optato per un metodo volontario più efficace e meno burocratico. Dato che la Rsi riguarda un comportamento volontario delle imprese, possiamo promuoverla solo collaborando con le imprese. L’Europa ha bisogno di un clima generale in cui gli imprenditori vengono apprezzati non soltanto per il fatto che realizzano buoni utili ma anche per il loro valido contributo di fronte alle sfide che interessano la società”. Il commissario agli affari sociali, Vladimir Spidla, ha aggiunto: “Il partenariato appena varato rappresenta un’alleanza aperta, il cui obiettivo è dare un nuovo slancio alle iniziative in materia di Rsi. Ritengo che la Rsi possa aiutare i lavoratori ad adattarsi meglio al cambiamento e ad apprendere le competenze necessarie per l’economia del XXI secolo. Può anche contribuire a fare diventare le pari opportunità una realtà nelle aziende europee e favorire l’integrazione dei gruppi svantaggiati”.
Attraverso l’“Alleanza europea per la responsabilità sociale delle imprese” la Commissione intende promuovere l’ulteriore adozione della Rsi da parte delle imprese europee e accrescere il sostegno e il riconoscimento accordati alla Rsi, vista quale contributo allo sviluppo sostenibile e alla strategia per la crescita e l’occupazione. Secondo la Commissione, occorre un nuovo metodo politico per il conseguimento di tale obiettivo. Ciò comporta, tra l’altro, riconoscere alle imprese il ruolo di protagoniste nel campo della Rsi: allo stesso tempo la Commissione continua ad attribuire la massima importanza al dialogo con tutti i soggetti interessati e ammette che la Rsi non si svilupperà senza il sostegno attivo e le critiche costruttive degli attori non aziendali.
La presentazione di questa Alleanza da parte della Commissione è il frutto di vari anni di dibattito pubblico, consultazioni e dialogo con le imprese e le altre parti interessate. Tappe importanti di questo processo sono stati un Libro verde (2001), una comunicazione e l’istituzione di forum multilaterale europeo sulla Rsi. Nell’ambito del forum si è pervenuti a un qualche consenso tra i soggetti interessati; tuttavia, in quella stessa sede sono emerse anche notevoli differenze di opinioni tra i diversi soggetti aziendali e non aziendali. È emersa una comune interpretazione europea del concetto di Rsi, intesa come l’integrazione volontaria, da parte delle imprese, delle problematiche sociali ed ecologiche nelle loro attività e nei loro rapporti con le parti interessate.
Al contrario di quanto comunemente si crede, la Rsi non riguarda esclusivamente le grandi aziende. Come per molte altre prassi commerciali, alcuni dei più recenti e interessanti sviluppi in questo campo si sono prodotti a livello delle piccole e medie imprese. La Commissione ammette l’esigenza di un migliore riconoscimento del contributo che già oggi molte Pmi apportano nel settore della Rsi, e intende favorire lo scambio di esperienze su come promuovere ulteriormente la Rsi tra le Pmi. Per Bruxelles, i risultati conseguibili attraverso la Rsi riguarderebbero l’assunzione di un maggior numero di persone appartenenti a gruppi svantaggiati; l’investimento nello sviluppo delle competenze, nell’apprendimento permanente e nell’occupabilità; il miglioramento della salute pubblica, in settori quali la commercializzazione e l’etichettatura dei prodotti alimentari; migliori risultati sul fronte dell’innovazione; l’uso più razionale delle risorse naturali e livelli di inquinamento più bassi grazie agli investimenti nel campo dell’innovazione ecocompatibile e all’adozione volontaria di sistemi di gestione ambientale; una migliore immagine dell’impresa e degli imprenditori nella società; un maggiore rispetto dei diritti dell’uomo e delle norme fondamentali del lavoro, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo; la riduzione della povertà e progresso verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del millennio.
L’Europa sta cambiando a velocità stratosferica. Ma che cosa ha in comune una piccola impresa di pulizie di Lione che paga i dipendenti per imparare a leggere e a scrivere con una piccola azienda di produzioni video del Galles che realizza video per la comunità locale? E che cosa hanno in comune queste aziende con un gruppo di hotel maltesi costruiti minimizzando il loro impatto ambientale? La risposta è che sono tutte piccole imprese che stanno tentando di esercitare una responsabilità sociale.
Durante una conferenza tenutasi qualche mese fa, è stato analizzato il successo della campagna pan-europea finalizzata ad aumentare la consapevolezza riguardo la responsabilità sociale delle imprese fra le Pmi. La campagna ha portato alla luce numerosi esempi di imprese europee che già recepiscono le loro prestazioni sociali ed ambientali come fattore di successo negli affari. L’azienda di pulizia di Lione ha riscontrato livelli elevati di rendimento e una maggiore soddisfazione dei clienti in quanto gli impiegati sono più motivati. L’azienda gallese di produzioni video sta contribuendo a rigenerare il tessuto sociale e economico di una zona rurale isolata. E l’azienda maltese, proteggendo le risorse naturali di Malta, sta contribuendo a salvaguardare il futuro stesso dell’industria turistica da cui dipende. La campagna per sostenere la responsabilità sociale delle piccole e medie imprese è condotta dalla Ueapme (associazione europea dell’artigianato e delle Pmi) e da Eurochambres (associazione delle camere di commercio europee). Ma anche in queste piccole dimensioni, il sindacato sembra poco coinvolto.