Il Jobs Act ormai è norma operativa. Il governo ha mantenuto le promesse varando i decreti attuativi della delega ricevuta entro i tempi previsti. Già questo è un successo, considerando l’abitudine alle deroghe, agli slittamenti che abbiamo visto tante volte in questi anni. E invece tutto è passato nei tempi previsti. Tra pochi giorni la pubblicazione in Gazzetta ufficiale per alcuni decreti, il dibattito nelle Commissioni Lavoro di Camera e Senato per gli altri. Ma, appunto, le decisioni sono state prese tutte.
E’ rimasto fuori solo quanto si riferiva all’introduzione di un salario minimo. Il governo ha rinviato questo capitolo all’autunno, legandolo strettamente, almeno stando alle dichiarazioni rese in sala stampa a Palazzo Chigi, al più ampio discorso su contrattazione e rappresentanza. Un regalo alle parti sociali che avranno così qualche mese in più per trovare un accordo al loro interno su queste materie, che del resto appartengono strettamente a quelle di loro competenza. Resta forte il dubbio se Confindustria e sindacati riusciranno in realtà a trovare questa intesa. Le premesse non sembrano esserci, nonostante solo sedici mesi fa abbiano sottoscritto il Testo unico appunto su contrattazione e rappresentanza, chiudendo così un ciclo di molti anni di dibattito e accordi (più o meno unitari). Le distanze emerse tra le parti su temi molto importanti non risultano diminuite, semmai è avvenuto il contrario. Ma la stagione contrattuale incalza, gli appuntamenti sono già fissati e un’intesa generale consentirebbe di mantenere pace sociale ed evitare nuove pesanti lacerazioni. Adesso che il governo ha fatto chiaramente capire che subentrerà alle parti sociali in caso di mancato accordo è presumibile che il dibattito acceleri, ma, appunto, nulla è sicuro.
Anche perché si sta aprendo, anzi è già aperto un nuovo fronte di lotta, strettamente collegato al varo del Jobs Act. Perché i sindacati, che ancora non hanno assorbito la quasi totale scomparsa dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, sempre quello sui licenziamenti, hanno affermato a chiare lettere che cercheranno una rivincita ai tavoli di trattativa (nazionali e d’azienda) e hanno cominciato già a farlo. Ha fatto notizia il caso di una multinazionale svedese che ha uno stabilimento in provincia di Frosinone e con un accordo sindacale ha disposto il mantenimento delle garanzie dell’articolo 18. Ma non è l’unico caso, altre aziende hanno raggiunto analoghi accordi e tutte hanno fatto scuola. Ma dalla parte padronale la reazione è stata immediata. Maurizio Stirpe, il presidente di Unindustria, l’associazione delle imprese industriali di tutto il Lazio, ha condannato questo comportamento e ha fatto sapere di avere investito del tema il vertice di Confindustria, chiedendo un’esplicita presa di posizione perché sia chiaro che chi segue questa linea è fuori dalle regole della confederazione e quindi rischia l’espulsione. Stirpe non sente ragioni, crede che esista una linea precisa di Confindustria, non vede perché debba restare all’interno della confederazione chi questa linea non accetta. Ha tutte le ragioni, ma questo sarà senza meno un nuovo problema.
Un giudizio compiuto sui contenuti del Jobs Act potrà venire solo quando si disporrà del testo dei decreti e si potrà capire per intero la loro portata, anche perché è stata operata una vera rivoluzione delle norme esistenti. Alcune considerazioni sono peraltro già d’obbligo. E’ stata sicuramente una cosa positiva l’intervento sulle mansioni. In questi anni si è parlato tanto di flessibilità in entrata e in uscita, su come si assumono le persone, con quali contratti, e come è possibile licenziare, come se queste fossero poi le cose più importanti. Ma quella che interessa di più è la flessibilità interna, la possibilità cioè di variare mansioni, orari, condizioni di lavoro , l’organizzazione del lavoro. Sono questi gli interventi importanti, perché è così che si può adeguare la realtà produttiva alle esigenze dettate dal mercato, che cambiano continuamente. Avere acquisito una più ampia possibilità e rapidità di intervento è una cosa certamente positiva per il futuro produttivo del paese.
Di peso anche il cambiamento operato sulla cassa integrazione. Questo è un istituto che è ed è stato molto importante per la nostra economia. Ce l’hanno studiata e copiata a lungo tantissimi paesi, perché il suo uso consente di mantenere intatta la capacità produttiva delle imprese anche durante i periodi di crisi. Le aziende che hanno un momento di difficoltà ricorrendo alla cassa integrazione possono mantenere il legame con le proprie maestranze, ed essere così pronte nel momento in cui il mercato consente di ripartire. Per questo modificarne il funzionamento costituiva comunque un rischio. Non sembra però che ci sia stato uno stravolgimento. Certamente è stato diminuito da quattro a due anni il tempo di utilizzo della cassa, ma questo potrebbe spingere a un uso più oculato dell’istituto. I due anni potranno però diventare tre se prima si farà ricorso ai contratti di solidarietà: una cosa positiva, perché si concedono benefici, ma chiedendo che, appunto con i contratti di solidarietà, tutti i lavoratori siano portati a dividersi i disagi. Poi è stato introdotto il concetto per cui chi usa di più la cassa paga anche di più, e questo è una cosa positiva, specie considerando le polemiche su chi pagava solo e chi ne riceveva un beneficio; non a caso, lo stesso presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, si e’ detto d’accordo con questa misura. E’ stato allargato anche alle aziende più piccole la possibilità di ricorso all’istituto ed è stata ampliata anche la platea di chi contribuisce con versamenti.
Tutto da valutare è il capitolo delle politiche attive del lavoro. La modifica del capitolo dei licenziamenti è stata sempre giustificata con il fatto che si passava a forme di flexsecurity: si allentava la presa sul posto di lavoro, ma si ottenevano sostanziosi aiuti per trovare un nuovo lavoro facilmente, così come avviene in tutto il modo. Finora si era lavorato sulla flessibilità, rinviando la parte sicurezza. Adesso si è passati alla seconda parte, ma non si è capito molto su di essa, su come funzioneranno questi aiuti, che appunto dovrebbero venire dalle politiche attive del lavoro. Il comunicato di Palazzo Chigi sulle decisioni del governo è molto dettagliato, ma non spiega quanto le disposizioni adottate riusciranno davvero a cambiare la realtà. Infine, un ultimo argomento, sulla creazione di un Ispettorato nazionale del lavoro che assorbirà le attività finora svolte da Inps, Inail e ministro del Lavoro. Un nuovo carrozzone? E’ un rischio possibile, ma è presto per dirlo. Sulla carta una razionalizzazione dei diversi interventi è sacrosanta, mettere assieme tutto alimenta però il rischio di una burocratizzazione che finirebbe per allentare la pressione invece di rendere più efficiente il servizio.
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Si è svolta il 10 e l’11 giugno la seconda sessione della Scuola di relazioni industriali organizzata da Il diario del lavoro e dall’Unità di ricerca Lavoro e organizzazione presso il Dipartimento di scienze sociali ed economiche della Sapienza, Università di Roma. I due giorni di lezioni sono stati centrati sul Jobs Act, con la presenza di autorevoli giuslavoristi che sono entrati nei particolari della nuova legislazione. Molto interessante il confronto che ha avuto luogo nel corso della prima giornata tra Maurizio Stirpe, presidente di Unindustria, e Fabrizio Solari, segretario confederale della Cgil. La prossima sessione, dedicata ai temi della rappresentanza, è fissata per il 1° e il 2 luglio prossimi.
Contrattazione
Questa settimana si è giunti alla firma di alcuni importanti accordi, a cominciare da quello per il rinnovo del contratto collettivo dei lavoratori dei comparti del settore chimico, gomma-plastica, ceramica, piastrelle e gres, e da quello per l’attivazione della cassa in deroga 2015 del settore pesca. Intesa trovata anche per la ricollocazione del personale in esubero dell’azienda La Rosss di Scarperia, che ha permesso di evitare i licenziamentik, e per il premio di risultato dei dipendenti della Sitrex Triestina. Infine, nella vertenza Whirlpool, si è registrato un, seppur parziale, passo in avanti, grazie all’adozione della formula della mobilità per i dipendenti dello stabilimento di None. Ma la partita sul futuro dei lavoratori degli altri stabilimenti, è ancora aperta.
Opinioni
Mario Ricciardi, in un suo articolo, riflette su uno dei temi caldi della settimana, il blocco dei contratti della pubblica amministrazione, sul quale la corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi, e su quale sia la giusta sede di discussione di tale tema. Ciro Cafiero, invece, offre una riflessione sull’impatto e le implicazioni che il Jobs act avrà sul mercato del lavoro nel prossimo futuro, e su come prepararsi a questa rivoluzione. Infine, sul tema del sindacato, il Diario del Lavoro propone due articoli di Aldo Amoretti: uno in cui risponde all’analisi di Gianni Manghetti sul rapporto tra crisi e confederazioni, l’altro in cui precisa alcuni particolari del dibattito che si svolse nel 1984 dentro la Cgil, a seguito dell’accordo separato di San Valentino.
Interviste
Stefano Cuzzilla, neo presidente della Federmanager, intervistato dal direttore del Diario del Lavoro, Massimo Mascini, spiega i contenuti del “patto” alla base del suo mandato.
Documentazione
Questa settimana il testo della nota flash del ministero del Lavoro sui contratti ad aprile 2015 e cinque dei principali documenti dell’assemblea annuale di Confcommercio. Inoltre è disponibile il testo del verbale di accordo del settore pesca e il comunicato del Consiglio dei ministri sull’approvazione dei due decreti attuativi al Jobs act.