E’ finita come non doveva finire, ma come tutti, in fondo, sapevano sarebbe finita. Il referendum tra i dipendenti di Alitalia si è chiuso con una drammatica bocciatura dell’accordo faticosamente raggiunto dai sindacati col governo e l’azienda: quasi il 70 per cento ha votato contro, appena un pugno i voti a favore. Malgrado la crisi evidentissima (Alitalia perde milioni di euro), malgrado il miliardo di risorse fresche che sarebbero state messe a disposizione del rilancio, ma solo previa intesa, malgrado le alternative al no fossero soltanto due: fallimento o liquidazione. Eppure, no. Tra Gesu’ e Barabba, Barabba.
“Attenzione a non creare un secondo caso Almaviva”, avevano avvertito i sindacati all’avvio del referendum. Segno evidente che l’esito negativo era ben più di un lontano sospetto. Quasi una certezza. Ci sarebbe da dire che Cgil, Cisl e Uil, così come i sindacati di categoria delle confederazioni, non sembra abbiano particolarmente caldeggiato il si: non si sono spesi più di tanto, non hanno tenuto assemblee informative per spiegare con chiarezza i termini dell’intesa (certamente penalizzante), ne’, soprattutto, le scoraggianti alternative, lasciando in questo modo spazio ai sindacati autonomi, i più forti nel settore aereo, tutti assolutamente contrari all’accordo. Non c’e’ stato il tempo, hanno spiegato successivamente, i confederali, e probabilmente e’ così.
Ma sta di fatto che, all’indomani della bocciatura, proprio i confederali, Cgil in testa, non hanno avuto esitazioni nel chiedere al governo di riaprire il tavolo di confronto per un nuovo accordo, diverso, meno ‘’lacrime e sangue’’ di quello respinto. Un copione molto simile, appunto, a quello di Almaviva: il cui accordo è stato bocciato a Roma, e subito dopo, però, gli stessi dipendenti che lo avevano affossato hanno chiesto di riaprire il tavolo con l’azienda. Risposta negativa, ovviamente. Call center quindi chiuso e 1600 licenziati, oggi faticosamente presi in carico dall’Anpal, che sta cercando di ricollocarli in qualche modo. I dipendenti di Alitalia che rischiano di andare a spasso, però, sono 12 mila, con l’indotto si arriva a 20 mila. Non avranno problemi a ricollocarsi i piloti, i migliori del mondo, molto appetiti dalle compagnie aeree straniere, compresa Etihad che avrebbe già contattato diversi di loro, proponendo di passare, ben pagati, sotto le insegne degli Emirati. Più dura sarà per il personale meno qualificato, impiegati, operai, personale di terra, e sono tanti.
Sarà dura anche per il governo, che in un periodo di vacche magrissime per i conti pubblici dovrebbe sobbarcarsi i costi degli ammortizzatori sociali per migliaia di persone. Ma dura anche sul piano politico: il fallimento di Alitalia, con tutte le sue conseguenze, non è esattamente una medaglia per Gentiloni. Come sia stato possibile, un simile scivolone, non è chiarissimo. Ora sembra che tutti – sindacati autonomi e dipendenti, in particolare- contassero sulla nazionalizzazione di Alitalia come piano B dopo la bocciatura dell’intesa: convinti che il paese non avrebbe mai potuto davvero fare a meno della sua compagnia di bandiera. Ragionamento che del resto non è nuovo. Si è fatto tutte le volte che Alitalia è stata in crisi, cioè in pratica ogni due o tre anni negli ultimi venti.
La via crucis della compagnia di bandiera inizia infatti esattamente 21 anni fa, nel 1996, quando dopo mezzo secolo di controllo statale il governo di Romano Prodi decide di quotare in borsa il 37% di Alitalia. Ad acquistare i titoli ci sono anche tanti piccoli risparmiatori. Ma la privatizzazione non ha gli effetti sperati. Si cerca quindi un partner industriale, e l’olandese Klm sembra quello giusto, ma alla fine il matrimonio non si fa. In compenso fa capolino Air France, con uno scambio azionario del 2%. E si tira avanti cosi’. Nel 2006, nuovo governo Prodi e nuovo tentativo di privatizzare la compagnia, mettendo un altro 39% di Alitalia sul mercato. Ma invece della via della Borsa il governo sceglie una procedura diversa, una gara, che fallisce: visti i bilanci, i concorrenti si ritirano uno dopo l’altro.
A quel punto, mentre i conti di Alitalia vanno a rotoli, il governo cerca di piazzare la compagnia all’ Air-France , disposta a rilevarne il 49,9%. Ma ai sindacati non piacciono le condizioni poste dai francesi e mettono paletti molto alti per accettare l’intesa. Tanto alti che l’Ad di Air France, il tosto Jean Cyril Spinetta, li ritiene insormontabili e se ne va sbattendo la porta. A quel punto i sindacati fanno marcia indietro, chiedono di riaprire il confronto, contando sull’appoggio del governo. Che però non arriva, anzi: Prodi definirà la loro posizione “irresponsabile”. Ma poco importa, perché il governo cade e si torna al voto, con Silvio Berlusconi che imposta tutta la sua campagna elettorale, vincente, su ‘’Alitalia resti italiana’’. Il Cda di Alitalia porta i libri in Tribunale, il governo modifica la legge Marzano per permettere un fallimento controllato, il titolo è cancellato dal listino di Borsa. E ne faranno le spese anche tanti risparmiatori.
Dal cilindro del prestigiatore Berlusconi esce quindi la ‘’Compagnia aerea italiana’’, la Cai, ennesima cordata di ‘’capitani coraggiosi’’ guidata da Roberto Colaninno e di cui fanno parte anche i Benetton, i Riva, i Ligresti, la Marcegaglia (all’epoca anche presidente di Confindustria) e Caltagirone, con Air France come partner al 25%. Cai rileva la parte sana della compagnia per 300 milioni di euro, mentre i 2 miliardi di passivo vengono messi a carico del debito dello Stato, così come gli ammortizzatori sociali per gli 8 mila esuberi.
Ma Cai è un fritto misto che non può funzionare. E dunque nel 2013 stiamo daccapo. Alitalia non decolla, nonostante altri 2.400 esuberi e un taglio del 20% degli stipendi dei manager serve un nuovo aumento di capitale, altrimenti gli aerei restano a terra. Colaninno getta la spugna. Con l’aumento di capitale arriva l’aiuto pubblico attraverso Poste Italiane, che entra nella compagine azionaria mentre Air France riduce la sua quota. Scatta la ricerca di un nuovo partner industriale, ma nel governo, che stavolta e’ quello di Enrico Letta, ci sono posizioni discordanti. Il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, punta ancora sui francesi di Air France, il suo collega dello Sviluppo, Flavio Zanonato, preferisce i russi di Aeroflot o gli Emirati, il vice ministro dell’Economia, Stefano Fassina, vuole “tutti tranne Air France”. Alla fine, con la mediazione di Luca di Montezemolo, arriva il nuovo cavaliere bianco, ed è, per l’appunto, una compagnia degli Emirati, Etihad, che acquisisce il 49% di Alitalia.
Intanto cade anche il governo Letta, gli subentra Matteo Renzi, che al closing dell’operazione con Etihad, a dicembre 2014, annuncia trionfante: ‘’allacciate le cinture, Alitalia finalmente decolla’’. Il nuovo Piano industriale prevede il punto di pareggio nel 2017. Ma non ci arriverà: a settembre 2015 il nuovo a.d. di Alitalia, Silvano Cassano, si dimette, perche’ la compagnia è nuovamente sommersa dai debiti. Ricomincia la giostra: confronti febbrili tra governo, sindacati e azienda, interventi delle banche, piani industriali, tagli, ridimensionamento, aumento di capitale, aiutino pubblico, firma dell’accordo, bocciatura, crisi, commissariamento, liquidazione, eccetera.
Si potrebbe, a questo punto, parlare di ‘’maledizione Alitalia’’, così come per decenni si favoleggiava di una disgrazia perenne sulle Ferrovie dello Stato. La battuta, celebre, era: ‘’ci sono due tipi di pazzi, quelli che si credono Napoleone e quelli che dicono di poter risanare le Ferrovie’’. Più che pazzi, forse, incapaci: infatti, e’ bastato affidare le Ferrovie a manager di valore per ottenere il risultato che sembrava impossibile. Grazie alle cure di Mauro Moretti, per dire, e poi del suo successore Renato Mazzoncini, in dieci anni le Ferrovie sono passate dalla condizione di buco nero mangia soldi a quello di bancomat per le casse pubbliche: proprio nei giorni scorsi, in quanto azionista, il Tesoro ha incassato dalla sua ex palla al piede un dividendo da ben 300 milioni di euro, freschi e cash.
Perché questo miracolo non è riuscito con Alitalia? Mah. Certo ha pesato una lunga sequenza di manager incapaci, da “prendi i soldi e scappa”, e di compagini azionarie raccogliticce; una tendenza della politica a metterci sempre e troppo le mani dentro, o sopra; un corporativismo invincibile dei dipendenti, piloti in testa. Ma, anche, una disperante tendenza dei sindacati, ripetuta nel tempo, a gestire questa partita con un certo pressapochismo, invece di mettere in campo tutta l’abilita’ e la determinazione necessari. Confidando, in fondo, tutti, sempre sull’intervento pubblico, sulla nazionalizzazione, sullo stellone patrio, su qualche entità superiore che, alla fine, avrebbe risolto la faccenda. Del resto è andata sempre così, negli ultimi decenni.
E non si può escludere che vada così anche questa volta. Con tutti i ministri del governo Gentiloni – da Calenda a Delrio a Poletti a Padoan- che in coro dicono “non si nazionalizza niente, al massimo un prestito ponte e poi cessione o liquidazione’’, ma anche col Movimento Cinque Stelle che da un lato plaude al fallimento del “referendum – ricatto ai lavoratori’’, e dall’altro esige la ‘’difesa dei posti di lavoro’’. E con Matteo Renzi, soprattutto, che non appena sarà tornato in sella al Pd, la prossima settimana, annuncera’ una proposta risolutiva per Alitalia grazie alla quale si salveranno, ancora una volta, capra e cavoli. Certo contando, Renzi, anche sul fatto che stavolta potrebbe ottenere l’appoggio dei sindacati, Cgil compresa. In quello che si profila come un anno elettorale, per l’ex premier e segretario Pd obbligato a recuperare il calo di immagine e consensi, svolgere il ruolo se non di salvatore della patria, quanto meno di salvatore dell’Alitalia (l’ennesimo), non sarebbe affatto inutile, anzi.
di Nunzia Penelope
Contrattazione
Questa settimana è stato sottoscritto il rinnovo del contratto nel settore calzaturiero, con un aumento medio del salario che raggiungerà i 70 euro nel 2019, un forte impulso al ruolo del welfare e l’introduzione della flessibilità oraria. Il Ministero del lavoro ha siglato un accordo con il Forum del Terzo settore sul pieno riconoscimento del ruolo di rappresentanza del Forum stesso come soggetto autorevole e rappresentativo di larga parte degli enti di terzo settore italiano. Inoltre, è stato rinnovato il contratto del commercio, distribuzione e servizi con Confsal. Tra le novità previste, l’introduzione di 3 tipologie contrattuali sperimentali: il contratto di sviluppo occupazionale, il contratto di primo ingresso e il contratto di reimpiego. Il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando ha siglato l’accordo con i sindacati per i dipendenti del Ministero. Nella proposta, sottoscritta dall’83,4% delle sigle sindacali, viene ripensata complessivamente l’architettura dell’ordinamento professionale del personale. Infine, i sindacati di categoria Fp Cgil Medici, Cisl Medici, Uil Fpl Medici hanno presentato la piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale rivendicando aumenti salariali “chiari e garantiti” per tutti i dirigenti medici e sanitari e invitano al confronto per l’apertura del tavolo contrattuale.
La nota
Nunzia Penelope ha fatto il punto sulla vertenza Alitalia dopo la bocciatura dell’accordo. Un evento che per l’ennesima volta vede in ginocchio la compagnia di bandiera, da ormai 20 anni condannata a una perenne via crucis. Di cui tutti hanno una parte di responsabilità: politica, governi, management, azionisti, sindacati.
Interviste
In occasione dell’assemblea annuale della confederazione, il presidente della CIDA Giorgio Ambrogioni ha rilasciato una intervista al direttore de Il diario del lavoro Massimo Mascini nella quale ha illustrato i risultati raggiunti e ha parlato delle prospettive della sua organizzazione.
Blog
Marco Bentivogli prende come spunto la festa del Primo Maggio per annunciare l’evento organizzato il 29 aprile a Muccia, in provincia di Macerata, uno dei comuni colpiti dal terremoto. Fim Cisl e Next premieranno le aziende solidali e sostenibili per rilanciare l’economia nel centro Italia.
Giuliano Cazzola prosegue la sua ‘’Amarcord’’ con due ricordi di vita sindacale: la storia della vertenza Smi – Società metallurgica ligure, e uno piu’ personale, il suo comizio del Primo Maggio da giovane sindacalista, nel 1965, in un piccolo centro della provincia bolognese.
Diario della crisi
Questa settimana è stata avviata la procedura per il licenziamento di 187 lavoratori della K-Flex dopo l’esito negativo dell’incontro tra le parti. I sindacati si appellano al tribunale e attendono la sentenza fissata per il prossimo 4 maggio. Mancano 30 giorni per scongiurare 315 licenziamenti alla Ericsson : i sindacati di categoria Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Ugl chiederanno al ministero del Lavoro di convocare nel prossimo incontro anche il ministero dello Sviluppo Economico e l’azienda per cercare una soluzione. Infine, i dipendenti della provincia di Varese hanno dichiarato la stato di agitazione per il mancato pagamento da parte dell’amministrazione pubblica del salario accessorio dal 2013. E’ stato richiesto, pertanto, un incontro urgente con il Prefetto.
Documentazione
Nella sezione dedicata è possibile visualizzare il testo della manovra correttiva, il decreto legge 24 aprile 2017, n°50, il testo della legge su voucher e appalti del 20 aprile 2017, n° 49, il rapporto Bankitalia sulla stabilità finanziaria di aprile, l’analisi Movimprese di Unioncamere e InfoCamere su natalità e mortalità delle imprese del I trimestre 2017 e il testo e i risultati della votazione #programmalavoro del Movimento Cinque Stelle. Come di consueto è possibile, infine, trovare i dati Istat sui contratti collettivi e retribuzioni contrattuali di gennaio-marzo 2017, le stime Istat sui prezzi al consumo di aprile, i dati sul commercio estero extra Ue di marzo e i dati sulla fiducia dei consumatori e delle imprese di aprile.