Il mito dell’unità sindacale è un fiume carsico. Ogni tanto appare, corre per un po’, poi sparisce nel deserto, in questo caso delle idee. Questa volta è toccato al segretario generale della Cgil. Maurizio Landini ha tirato un’altra volta fuori questa suggestione. Non è stata l’intuizione di un minuto. Lo sta pensando da tempo, le sue prime uscite quando ha iniziato la corsa per il vertice della confederazione erano puntate proprio sulla possibilità, anzi sulla necessità di arrivare al sindacato unico.
Il suo ragionamento è limpido, le confederazioni sindacali italiane sono tre perché figlie della divisione della politica. Dopo la guerra c’era un solo sindacato, la Cgil, sostenuta dai partiti antifascisti. Poi questi, che inizialmente avevano iniziato a governare assieme, si sono divisi tra occidente e oriente e parallelamente il sindacato si è spaccato. Ma adesso, osserva Landini, il riferimento forte tra partiti e sindacati non c’è più, anzi sono spariti gli stessi partiti che si contrapponevano. E allora basta con le divisioni, facciamo un sindacato unitario, che è quello che vogliono i lavoratori. Che il quotidiano la Repubblica abbia dato il 1° maggio il suo titolo di prima pagina a questa visione, è una chiara prova del consenso che una tale prospettiva potrebbe avere.
Tutto bene, allora, marciamo verso il sindacato unitario? Non è proprio così, al contrario è molto probabile che questo fiume carsico torni sottoterra a dormire ancora qualche anno. Per chiarire i termini della questione è bene premettere che l’unica verità è che il sindacato vince quando è unito. Le divisioni hanno fatto sempre male, perché già la rappresentanza del lavoro è debole per definizione, perché il potere ce l’hanno i padroni, se poi questa rappresentanza si presenta divisa, è meglio fare altro.
Ma una cosa è l’unità d’azione, un’altra quella organica. Importante è che i tre sindacati presentino le stesse richieste ai loro interlocutori, che siano imprese o politici, e che sostengano queste richieste con interventi unitari, dove tutti si schierino compatti. La storia sindacale è piena di riferimenti a sconfitte, più o meno plateali, avvenute quando la compagine sindacale procedeva in maniera dispersa. Ma l’unità organica è un’altra cosa, molto più complessa, alla quale non è detto che l’attuale sindacato, in questo momento storico, sia preparato.
Per avere l’unità organica si devono far morire le attuali sigle sindacali, si devono abbattere le bandiere, i riferimenti storici e ideologici su cui si è vissuto finora. Un’azione molto complessa. Ci si era quasi riusciti all’inizio degli anni 70, quando si arrivò a stabilire le date nelle quali si sarebbero convocati i congressi di scioglimento di Cgil, Cisl e Uil per fondare, qualche mese dopo, il sindacato unitario. Poi tutto andò a monte, ma veramente il traguardo era stato vicino.
Ma questo era stato possibile perché il mondo del lavoro aveva vissuto una palingenesi profonda con l’autunno caldo del 1969. Le strutture preesistenti erano state spazzate via, le confederazioni erano state messe sotto accusa, le categorie erano fortissime e volevano fortissimamente il nuovo sindacato unitario. Erano spariti anche gli organismi sindacali di fabbrica, le commissioni interne erano state sostituite dai consigli di fabbrica. Si votava facendo valere ogni testa un voto, gli aumenti salariali erano chiesti e ottenuti sempre in cifre uguali per tutti. C’era stata una rivoluzione e tutto sembrava possibile. In quel clima magmatico anche la fondazione di un sindacato unitario sembrava possibile. Eppure, anche quel tentativo fallì, travolto dalle resistenze dei partiti politici che non volevano perdere la loro presa sui sindacati.
Adesso quella presa non c’è più, e non ci sono nemmeno i partiti politici di una volta. Ma manca la spinta emotiva, invece necessaria, indispensabile per attuare una rivoluzione del genere. Il mondo del lavoro non è attraversato da fremiti di cambiamento, non c’è la volontà ferma di modificare gli assetti e gli equilibri preesistenti, la calma piatta sembra destinata a vincere.
L’iniziativa, se pure avviata in maniera più sostanziale di quanto non sia un discorso sul palco del 1° maggio, si scontrerebbe comunque con un ostacolo fortissimo, le burocrazie delle tre confederazioni. Le burocrazie, si sa, sono conservatrici per definizione, rifuggono i cambiamenti, specie quelli destinati a spazzarle via. Se il sindacato divenisse uno solo salterebbero decine di migliaia di non chiamiamole poltrone, che sono poco più che sgabelli, ma qualcosa di molto numeroso sarebbe cancellato. E le resistenze sarebbero fortissime, forse vincenti.
E in questo conto c’è da tener presente anche il fatto che negli anni di divisione del sindacato, anni recenti, si sono formate delle incrostazioni che non sarebbe proprio facile eliminare. I metalmeccanici, da prendere di esempio perché restano la categoria più politicamente rilevante, hanno vissuto anni molto difficili, quando essere della Fiom, della Fim o della Uilm aveva un significato preciso, il senso dell’appartenenza proprio in quelle lotte è stato così forte che adesso non è facile cancellarle. E se si imponesse dall’alto l’unità sarebbero ostacoli difficilissimi da superare.
Per questo forse ha ragione Annamaria Furlan, quando dice che un processo del genere non può che partire dal basso, dai lavoratori, che devono essere educati a pensare in maniera differente. Impresa non facile, e comunque di lungo periodo. Ma se davvero si pensasse di avviare una battaglia del genere, forse sarebbe meglio dirigere le forze nel combattere quello strano processo per cui tanti, troppi lavoratori hanno in tasca la tessera di una delle tre confederazioni, ma votano poi per un partito politico che quelle confederazioni combattono e magari vorrebbero anche spazzare via. Un’anomalia che stride, ma è gravida di conseguenze, specie nel lungo periodo.
Massimo Mascini
Per i nostri lettori pubblichiamo qui di seguito una scelta delle notizie e degli interventi più significativi apparsi nel corso della settimana su ildiariodellavoro.it (Vai al sito per leggere il giornale completo, aggiornato quotidianamente dalla nostra redazione).
Interviste video
Il direttore de Il diario del lavoro, Massimo Mascini, ha intervistato il presidente del Cnel Tiziano Treu. In questa intervista Treu spiega come funzionerà la proposta di legge elaborata dal Consiglio Nazionale Economia e Lavoro per regolamentare contratti e rappresentanza.
Servizio a cura di Emanuele Ghiani
Contrattazione
Sottoscritta un’intesa tra Philip Morris, i sindacati di categoria e Unindustria Roma per l’assunzione di 600 persone a tempo determinato. L’accordo prevede la trasformazione almeno il 20% in contratti a tempo indeterminato. Inoltre l’intesa contempla un rapporto di lavoro diretto, evitando così il ricorso al cosiddetto “staff leasing”, molto diffuso dopo l’entrata in vigore del “decreto dignità”.
La nota
Fernando Liuzzi ha seguito la conferenza stampa di Fim Fiom e Uilm per annunciare lo sciopero dei metalmeccanici il 14 giugno. Una protesta che, come hanno spiegato i sindacati, oltre che verso le imprese, questa volta è indirizzata soprattutto verso il governo giallo-verde e la sua politica economica.
Analisi
Maurizio Ricci analizza i motivi della scomparsa della produttività in Italia. I tempi in cui il prodotto per ora lavorata aumentava dell’1% per cento sono lontani, spiega Ricci. Fra il 2000 e il 2005, l’aumento è stato dello 0,1%. La crisi dei cinque anni successivi l’ha addirittura tagliata dello 0,2%. E fra il 2014 e il 2018 l’indicatore della produttività segna zero.
Alessandra Servidori parla dello stato dell’arte dello smart-working in Italia, che festeggia i due anni dall’entrata in vigore grazie al Jobs Act. Nell’era della trasformazione digitale, afferma Servidori, lo smart-working non è una semplice iniziativa di work-balance: richiede un percorso di profondo cambiamento culturale e dei processi organizzativi del lavoro. E nonostante i piccoli passi in avanti, il nostro paese arranca ancora negli ultimi posti. Sempre Servidori fa una panoramica dei provvedimenti del governo, sia attuati che in via di definizione, come reddito di cittadinanza e salario minimo, mettendoli a confronto.
Il guardiano del faro
Marco Cianca, partendo dalla polemica innescata dai rider sulle basse mance lasciate dai clienti vip, si interroga sul destino di un lavoro sempre più povero, nel quale la questione salariale e la protezione dei lavoratori più deboli assumo un’importanza cruciale.
I blog del Diario
Paolo Pirani analizza le cose che non vanno nel Def. L’unico pregio del Documento di economia e finanza varato dal governo Conte, spiega Pirani, consiste nel suo realismo. Vale a dire nell’ammissione che l’Italia versa economicamente in brutte acque con una crescita prossima allo zero ed un debito pubblico che invece di cominciare a scendere sale ancora.
Maurizio Ballistreri riflette su come la festa del 1° maggio, passata da poco, non debba avere un carattere meramente celebrativo e retorico, ma riscoprire i valori fondativi delle lotte per i diritti sociali per relazionare il lavoro con le nuove sfide dell’innovazione e dell’economia 4.0.
Giuliano Cazzola replica a chi sostiene che ‘’Mussolini -ha -fatto- anche- cose- buone’’, ricordando che la visione fascista della donna -nel Ventennio ma anche dopo- era esclusivamente “quella di madre, moglie e, al limite, vedova’’.
Diario della crisi
Nel settore bancario, i sindacati di categoria esprimono preoccupazione nella quale si trova Carige e chiedono l’intervento del Governo. Con l’ingresso del fondo statunitense Blackrock, spiegano le parti sociali, si rischiano 2mila esuberi, lo smembramento della rete commerciale e l’esternalizzazione di molte attività. I sindacati dei trasporti, Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e Ugl Trasporto, hanno proclamato lo sciopero del settore aereo per il 21 maggio. I sindacati sottolineano come, un comparto strategico per il paese con un incremento di passeggeri, veda un proliferare di situazioni fallimentari. Nell’istruzione, i Cobas confermano lo sciopero della scuola per il 17 maggio “contro la regionalizzazione dell’istruzione, ma anche per un contratto con aumenti salariali che recuperino almeno il 20% di salario reale perso negli ultimi anni”.
Documentazione
Questa settimana è possibile consultare i dati dell’Istat sui prezzi alla produzione all’industria e delle costruzioni, i dati provvisori sui prezzi al consumo , le stime provvisorie su occupati e disoccupati e il rapporto sui contratti collettivo e le retribuzioni contrattuali di gennaio-marzo. Infine è presente l’indagine rapida di Confindustria sull’andamento della produzione industriale.




























