Il Jobs Act è diventato legge. Adesso si attendono i decreti delegati, che saranno poi gli strumenti per attuare i principi indicati in quella legge, ma già l’approvazione da parte del Parlamento è un atto importante che va sottolineato in quanto tale. Matteo Renzi porta a casa un risultato certamente rilevante. Le prime indicazioni da parte sua dei possibili contenuti di questo atto, quando non era ancora presidente del Consiglio, avevano fatto nascere molte speranze, in parecchi vi avevano visto la possibilità di imprimere davvero una svolta alle relazioni industriali e al destino del lavoro nel nostro paese.
E’ difficile dire adesso che quelle speranze sono state deluse, perché certamente le innovazioni ci sono e anche di un certo spessore, ma, a ben guardare, la vera svolta non c’è stata. Le modifiche all’articolo 18 sono corpose, ben più di quanto non avesse fatto la Fornero, ma questo non comporterà, a detta di tutti gli osservatori, cambiamenti di sostanza per quanto si riferisce all’occupazione. Il nuovo articolo 18 è certamente ben accetto dalla comunità delle imprese, anche estere, ma non erano le norme sui licenziamenti a frenare gli investimenti in Italia. Questo lo sapevano tutti, compreso Renzi che non a caso fino all’inizio dell’estate snobbava questo argomento, per dedicar visi dopo l’agosto più per motivi politici e di immagine che altro. Né può cambiare gli andamenti occupazionali il nuovo contratto a tutele crescenti, che si aggiunge alle altre tipologie, per fortuna sembra senza spazzarle via, ma lascia sostanzialmente le cose ferme.
Per avere qualche risultato migliore per l’occupazione sarà molto più determinante la legge di stabilità che toglie l’onere della contribuzione per tre anni per tutti i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato. Questa sarà una molla potente, perché lo sgravio di una parte notevole del costo del lavoro non potrà non incidere sui programmi di assunzione da parte delle imprese. E’ vero che si deve competere non sul costo del lavoro, come fanno i paesi poveri, ma sulla qualità dei prodotti, prerogativa dei paesi industrialmente avanzati, ma uno sgravio notevole del costo del lavoro ha la sua importanza, specialmente per le piccole imprese. Siamo sicuri che molte aziende stanno attendendo il nuovo anno per fare assunzioni per poter usufruire di questa esenzione, anche perché lo sgravio dura per tre anni e in tre anni tutto può accadere di tutto in un’impresa.
Il problema vero del resto resta sempre lo stesso, il fatto che non si intravvede alcuno spiraglio di ripresa. Tutti gli indicatori sono negativi, i piccoli spiragli che si erano aperti a inizio anno si sono richiusi ermeticamente. E non c’è nessuno che faccia qualcosa per invertire il trend. L’unico a cercare una via di uscita è Mario Draghi, non a caso soprannominato Supermario, che sta combattendo la sua battaglia isolata nella Bce, scontrandosi con l’intransigenza, molto miope, della Bundesbank, più in generale dei tedeschi che non capiscono che solo l’Europa tutta assieme può vincere questa battaglia, i singoli paesi da soli sarebbero molto più deboli. Draghi è determinato di andare avanti acquistando titoli di stato dei paesi membri anche a costo di far approvare la misura nel direttivo Bce a maggioranza, cioè contro i tedeschi. Il punto è che quello che ci manca è proprio il gioco di squadra e procedere in un terreno minato a colpi di maggioranza non è la strategia migliore.
Servirebbe qualcosa di più, all’Europa e all’Italia in particolare. Ma il nostro paese è ormai allo stremo, come ha giustamente rilevato il Censis nel suo rapporto annuale. Dopo sei anni di crisi siamo senza forze, è difficile anche solo sperare che qualcosa cambi. Il dato peggiore forse è quello sul risparmio, che nonostante l’impoverimento reale del paese continua a crescere, perché non si sa più che cosa conta, non si fanno piani per il futuro, soprattutto non si investe ed è chiaro che senza investimenti la ripresa non arriverà da sola. Servirebbe quella politica economica espansiva che non ci possiamo permettere, ma non abbiamo nemmeno uno straccio di politica industriale che pure servirebbe a indicare appunto dove investire, su quali piani fare forza. Tutto è fermo, immobile. Quel poco che si muove lo si fa sull’emergenza, che però non è mai buona consigliera.
Un caso tipico di questo muoversi sull’emergenza è venuto dalla felice conclusione della vertenza della Ast di Terni. Dopo la classica trattativa ininterrotta di un giorno a mezzo l’accordo è arrivato e anche molto positivo perché assicura il funzionamento dei due forni, il mantenimento dell’occupazione o quanto meno il non ricorso a licenziamenti. Ma appunto sono serviti 45 giorni di sciopero ininterrotto, le manganellate in Piazza Indipendenza contro gli operai che manifestavano, la pressione di un’intera città perché alla fine si trovasse un’intesa. Che sarebbe dovuta venire da una seria riunione tra gli interessati per verificare la situazione reale e le possibili strategie.
Un paese allo stremo e come potrebbe essere altrimenti considerando lo scandalo accaduto a Roma, un fatto di gravità inaudita, soprattutto per l’estensione dell’eversione accertata. Solo adesso abbiamo capito i motivi del linciaggio di cui era oggetto il sindaco Ignazio Marino, un galantuomo che da solo, senza che nessuno lo aiutasse, andava contro i poteri occulti della capitale praticamente a mani nude.
Paese in gravi difficoltà, economia in pieno declino, relazioni industriali che scompaiono. Un quadro desolante. Eppure la speranza di un futuro migliore non viene meno. L’altro giorno abbiamo effettuato la seconda puntata del nostro DUEL, un programma di faccia a faccia tra protagonisti del mondo del lavoro. Si confrontavano Alessandro Genovesi, segretario generale della Cgil della Basilicata, e Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl. Due giovani, 37 anni il primo, 44 il secondo, giovani almeno nelle abitudini sindacali. Da loro è venuta questa luce di speranza, perché hanno mostrato di avere idee innovative, piene di vigore, capaci di accendere qualcosa, di far credere che anche le relazioni industriali, che pure stanno morendo o comunque soffrono di crisi dura, potrebbero svegliarsi e dare il loro contributo per la ripresa del paese. Chi non ha assistito alla trasmissione in streaming della puntata di DUEL si guardi il video integrale sul nostro sito, ne vale davvero la pena, o legga il bell’articolo che ha scritto in merito Nunzia Penelope raccontando quanto i due sindacalisti si erano detti nel loro incontro.
Contrattazione
Questa settimana si sono sbloccate importanti vertenze, a cominciare dalla Lucchini di Piombino, dove il ministero dello Sviluppo economico ha dato il via libera al passaggio dello stabilimento al gruppo algerino Cevital, con 400 milioni di euro di investimenti previsti. Passi avanti anche sul confronto tra Almaviva, sindacati e governo, in cui si è discusso di delocalizzazioni e del settore dei call center: il governo si è impegnato a far partire le prime ispezioni a campione nei confronti delle aziende che non applicano l’art 24 bis, fissando intanto il prossimo tavolo per il 19 dicembre al Mise. Inoltre, è stato raggiunto un accordo alla Marcegaglia Buildtech, dove 85 lavoratori del sito di Taranto, già da questo mese, ritorneranno a lavorare alle stesse condizioni retributive e di inquadramento precedenti la chiusura. Siglato anche un’importante accordo tra i sindacati territoriali della Basilicata Cgil, Cisl e Uil e il presidente della Giunta Pitella, per mettere in campo primi e importanti interventi strutturali per combattere la grave crisi che in particolare colpisce i soggetti più deboli: ex lavoratori in mobilità, famiglie povere, disoccupati. L’obiettivo è di coinvolgere già nel 2015 circa dieci mila beneficiari l’anno su trenta mila nuclei familiari poveri, per un valore di almeno 55 milioni di euro l’anno. Infine, la Trw ha confermato la volontà di cessare la produzione entro il 31 dicembre, per poi chiudere definitivamente i cancelli il 30 aprile 2015, mettendo sul piatto 23 ml per l’incentivo all’esodo, laddove i sindacati ne chiedono 31.
Opinioni
Il diario del lavoro pubblica questa settimana una importante analisi di Fernando Liuzzi su una delle più difficili e cruciali vertenze metalmeccaniche del nostro paese: la vertenza Ast. L’autore ripercorre la storia dell’acciaieria di Terni, il recente lieto fine, il suo trascorso di lotte, che ha visto profondamente uniti lavoratori, sindacati, popolazione e istituzioni locali.
La nota
Pubblichiamo questa settimana due note interessanti: la prima di Fabiana Palombo sul giudizio complessivamente positivo, seppur parziale e con alcune riserve, di Confcommercio riguardo al Jobs Act; la seconda di Nunzia Penelope, che sintetizza la seconda puntata di Duel, avvenuto nella nostra redazione tra Alessandro Genovesi, segretario generale della Cgil Basilicata, e Marco Bentivogli, leader della Fim Cisl.
Interviste
Per Il diario del lavoro, questa settimana Emanuele Ghiani ha intervistato il segretario generale della Cisl Lazio Andrea Cuccello, in merito al Jobs Act del governo. Il sindacalista giudica positivamente il contenuto della legge delega, anche se non crede che sia tutto oro colato, ma dissente profondamente con il governo per il metodo scelto per arrivare alle nuove norme.
Documentazione
Nel nostro sito questa settimana è disponibile il testo dell’accordo di Ast, il documento di Confcommercio sul mercato del lavoro e la sua nuova riforma, i rapporti Istat sul fatturato servizi III trim 2014 e sulla ricerca e sviluppo in Italia, l’accordo Alcatel Lucent con Sm Optics su esuberi Vimercate, l’accordo siglato tra regione Basilicata e Cgil, Cisl e Uil e il testo definitivo del ddl 1698 approvato al Senato.


























