Il 2 luglio alcuni lavoratori hanno scioperato contro l’invio di un carico di missili in Qatar dall’aeroporto civile di Brescia Montichiari. I soli addetti al carico del materiale bellico si sono astenuti dal lavorare per trasportare le armi, rimanendo comunque a disposizione dell’azienda per altri incarichi. Il giorno dopo la Commissione di garanzia degli scioperi ha chiesto la revoca dello sciopero, ritenendo l’invio di armi un servizio di pubblica utilità. In particolare, la Commissione ha precisato che servirebbe un esplicito accordo sindacale validato dallo stesso garante per esentare il trasporto di materiale bellico dalle attività tutelate. Il volo è stato poi cancellato e lo sciopero quindi revocato, ma le conseguenze del gesto non si sono fatte attendere. Venerdì scorso è infatti arrivato un provvedimento disciplinare nei confronti del sindacalista Usb che ha organizzato la protesta. L’azienda ha contestato al sindacalista l’aver diffuso la notizia su quale fosse aereo che conteneva il materiale bellico, violando così gli obblighi di riservatezza “con potenziale pregiudizio – precisa l’azienda Gda Handling – per la sicurezza generale dell’aeroporto”. D’altre parte un lavoratore come potrebbe evitare di spostare materiale bellico, quindi scioperare, senza sapere che cosa sta trasportando in quel momento? Ci troveremmo in una negazione de facto del diritto di sciopero.
Inoltre, non è la prima volta che viene utilizzato un aeroporto civile per trasportare armi belliche. Anche il 4 ottobre del 2024 nello stesso aeroporto Montichiari i lavoratori dello scalo avevano protestato contro l’ennesimo cargo carico di armi. Un altro episodio, questa volta al porto di Ravenna, coinvolse i sindacati di categoria territoriali Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti: grazie alla proclamazione di vari scioperi i portuali riuscirono a fare rinunciare l’imbarco di un carico di esplosivi verso il porto di Ashdod, in Israele, destinati al conflitto nella Striscia di Gaza in Palestina.
Torniamo all’aeroporto di Brescia. Per comprendere il rifiuto della Commissione di garanzia degli scioperi dobbiamo guardare all’art. 40 della Costituzione: “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, cioè la legge n. 146 del 1990 dove in pratica si regola e modera il diritto di sciopero quando questo si scontra con i c.d. servizi pubblici essenziali. Ma secondo il sindacato Usb la spedizione di armi non è citata nella legge quindi è esclusa dalla lista dei servizi di pubblica utilità.
Questi scioperi sono certamente politici ma pur sempre legittimi, come da anni ha chiarito la Corte costituzionale (sent. 27-12-1974, n. 290). Lo sciopero è quindi uno strumento di pressione valido anche per dinamiche apparentemente slegate dal tema del lavoro. È interessante a questo punto vedere che cosa si intende con la parola lavoro. All’art.4 comma 2 della nostra Costituzione recita: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Quindi il lavoro per la Costituzione, come spiega Costantino Mortati, membro della Costituente “non è fine in sé o mero strumento di guadagno, ma mezzo di affermazione della personalità del singolo, garanzia di sviluppo delle capacità umane e del loro impiego”.
Queste sottolineature costituzionali sul lavoro aiutano a inquadrare in una luce più obiettiva i recenti scioperi e la loro legittimità non solo giuridica ma anche sociologica e personale. Bisogna rimanere vigili sui diritti, soprattutto in un contesto politico che tende a reprimere il dissenso, come dimostra il recente decreto sicurezza, criminalizzando svariate forme di protesta. Parliamo di persone e della loro sensibilità su temi fondamentali. Questi lavoratori hanno avvertito nella loro coscienza che tramite il loro lavoro avrebbero danneggiato altre persone, anche se indirettamente e geograficamente distanti. Hanno incrociato le braccia. Perdono parte dello stipendio per una questione di principio: “I lavoratori non voglio essere parte di questa catena di montaggio di armi – ha rivendicato il personale dell’aeroporto di Montichiari – né partecipare a conflitti in giro per il mondo”.
Un trattamento diametralmente opposto viene invece riservato dallo Stato all’obiezione di coscienza dei ginecologi quando si parla di aborto. Perché quando sono i lavoratori a incrociare le braccia perché sensibili al tema della guerra gli viene negato lo sciopero sul trasporto di materiale bellico per ragioni di pubblica utilità. Mentre quando sono i ginecologi a fare gli obiettori di coscienza sull’aborto va tutto bene, la loro sensibilità viene anzi tutelata e rispettata. Con la piccola differenza che il diritto delle donne di interrompere la gravidanza è sancito una legge, la 194. Inoltre, dato che circa sette ginecologi su dieci in Italia sono obiettori di coscienza, secondo i dati forniti dal Ministero della Salute nel 2022, potremmo fare un piccolo sforzo di immaginazione e consideralo de facto una sorta di vero e proprio sciopero anomalo: collettivo su scala nazionale, perennemente attivo 7 giorni su 7 da anni, decenni, a danno di un intera popolazione, negando un diritto garantito per legge. Di conseguenza, si dovrebbe considerare il diritto all’aborto come servizio pubblico essenziale invece del trasporto di bombe e missili.
Emanuele Ghiani