“Se qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio, il maxi-emendamento del Governo alla legge di bilancio lo ha definitivamente chiarito: si andrà in pensione sempre più tardi. Con queste scelte l’esecutivo riesce in un’impresa clamorosa, quella di superare persino la legge Monti-Fornero, rendendo il sistema previdenziale ancor più rigido, ingiusto e punitivo per lavoratrici e lavoratori”. Così la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione commenta duramente le misure contenute nell’articolo 43 del maxi-emendamento governativo, che introduce interventi strutturali restrittivi sui pensionamenti anticipati a partire dal 2031.
“Non siamo di fronte a semplici aggiustamenti tecnici – prosegue la dirigente sindacale – ma a un vero e proprio inasprimento strutturale del sistema”. Infatti, spiega “il maxi-emendamento allunga progressivamente le finestre di decorrenza delle pensioni anticipate fino a sei mesi dal 2035 e, nei fatti, considerando anche l’adeguamento alla speranza di vita che il Governo ha scelto di non bloccare, porta l’accesso alla pensione anticipata a 43 anni e 9 mesi di contribuzione nel 2035, smentendo nei fatti le promesse fatte a lavoratrici e lavoratori. Altro che flessibilità: si costringono le persone a restare al lavoro sempre più a lungo, aumentando i periodi scoperti tra lavoro e pensione e producendo risparmi di spesa solo rinviando diritti maturati”, denuncia.
Ghiglione sottolinea poi che “a questo si aggiunge la penalizzazione del riscatto degli anni di studio, peraltro con una misura retroattiva e con evidenti profili di incostituzionalità: contributi regolarmente pagati non produrranno più pieni effetti previdenziali ai fini dell’accesso alla pensione anticipata. Una svalutazione selettiva e progressiva che arriva a escludere fino a 30 mesi dal 2035. Questo significa che una lavoratrice o un lavoratore che ha riscattato un periodo di studi potrà arrivare addirittura a 46 anni e 3 mesi di contribuzione prima di andare in pensione. Siamo alla follia”.
Per la segretaria confederale della Cgil si tratta di “una rottura gravissima del principio di affidamento, che colpisce soprattutto i lavoratori più giovani, chi ha carriere medio-alte con ingresso tardivo nel mercato del lavoro e chi ha investito risorse significative nel riscatto della laurea. Lo Stato cambia le regole a partita già giocata, come aveva fatto con i lavoratori pubblici con il taglio delle aliquote di rendimento”.
“Dopo aver di fatto azzerato qualsiasi forma di flessibilità in uscita dal lavoro, il Governo introduce ulteriori peggioramenti, inserendoli all’interno di un requisito pensionistico che continuerà a crescere nel tempo e che viene aggravato da nuove penalizzazioni e rinvii della decorrenza. Una scelta consapevole – conclude Ghiglione – che sposta sempre più in là il traguardo pensionistico per tutte e tutti, negando il diritto a una pensione dignitosa dopo una vita di lavoro”.
Della stessa posizione anche la Cisl che attraverso il segretario confederale Ignazio Ganga afferma: “da un esame del maxi-mendamento del Governo si riscontra la volontà di allungare la permanenza al lavoro andando oltre gli attuali criteri fissati dalla legge Fornero”. “Il testo in questione allunga dal 2032 le finestre di uscita già oggi presenti, di tre mesi, in forma progressiva, per la pensione anticipata – dice – inoltre, dal 2031 viene limitato il valore del riscatto della laurea per raggiungere il requisito della pensione anticipata, tanto che fin da quell’anno non verranno considerati sei mesi, con previsioni incrementali sugli anni successivi, per arrivare al 2035 ad una penalizzazione del riscatto pari a ben 30 mesi rispetto alle regole attuali. Questi aspetti, peraltro, dovranno fare i conti con gli ulteriori allungamenti già previsti dall’attuale ordinamento in ordine all’aspettativa di vita, solo parzialmente limitata dalla manovra 2026”.
Per la Cisl si tratta di “misure pesanti e incomprensibili perché penalizzano i lavoratori che hanno pagato con I propri sacrifici oneri importanti per conseguire un diritto che oggi viene colpito dal maxi-emendamento. Ancor più grave è che misure di questa natura siano state messe in atto al di fuori di qualsiasi confronto con il sindacato. I provvedimenti dovranno essere necessariamente ritirati, riportando la materia a un confronto approfondito tra Governo e parti sociali”.
“Le norme pensionistiche contenute nel pacchetto di emendamenti alla legge di bilancio rappresentano l’ennesimo passo nella direzione sbagliata: si rinvia ancora l’accesso alla pensione e si interviene sulla previdenza con logiche di corto respiro, dettate esclusivamente da esigenze di cassa”. E’ quanto dichiara il segretario confederale della Uil, Santo Biondo.
“Oggi il sistema pensionistico italiano si regge su due pilastri – dice – quello pubblico e quello complementare. E’ ormai evidente, però, che il primo da solo non è più in grado di garantire pensioni adeguate e dignitose a tutte e tutti, mentre il secondo, così come è attualmente strutturato, raggiunge una platea troppo ristretta di lavoratrici e lavoratori. La previdenza non può essere governata con interventi episodici, frammentari o emergenziali. Lo dimostra l’ultimo intervento sul riscatto di laurea: uno strumento che avrebbe dovuto valorizzare i percorsi di studio e sostenere le nuove generazioni viene invece drasticamente ridimensionato, diventando di fatto accessibile solo a una ristretta fascia di contribuenti con redditi elevati”.
Secondo la Uil “ancora una volta si colpiscono strumenti che potevano ridurre le disuguaglianze, aumentando al contrario incertezza sociale e divari generazionali. E’ urgente aprire un confronto vero, strutturato e trasparente con le parti sociali per una riforma complessiva della previdenza che risponda ai bisogni reali delle persone. In assenza di questa visione, ogni intervento rischia di produrre solo nuove ingiustizie e maggiore insicurezza per il futuro del paese”.



























