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Home - Approfondimenti - L'Editoriale - Pierre Carniti, un mito, un esempio

Pierre Carniti, un mito, un esempio

di Massimo Mascini
5 Giugno 2018
in L'Editoriale

Un uomo dolce, ma inflessibile, duro come acciaio temprato, capace di opporsi a tutti e a tutto se lo riteneva necessario. Pierre Carniti è stato l’uomo che ha cambiato radicalmente il sindacato, facendolo grande. Era schivo, timido, aveva difficoltà nell’interlocuzione, quasi fosse sempre a disagio. Ma se prendeva una decisione, e ne prendeva di continuo, rivoluzionarie, andava fino in fondo.

Dico che ha cambiato il sindacato perché dopo gli anni della grande guerra interna al sindacato fu il primo a cominciare a pensare in maniera differente. Era a capo dei metalmeccanici milanesi e non stava a suo agio nell’organizzazione. Erano i primi anni sessanta. Cominciò a pensare diversamente, si contornò di intellettuali, economisti, sociologi, giuslavoristi e con loro, sempre a Milano, cominciò a pensare al sindacato degli anni a venire.

E non pensava solo, mise a fuoco una strategia sindacale tutta rivoluzionaria. La prima cosa che fece fu quella di associare le giovani generazioni di operai immigrati dal sud d’Italia. Quelli che divennero famosi come gli operai massa. Che, senza diritti, non avevano nulla da perdere ed erano pronti a tutto. La seconda mossa fu di riavvicinarsi alla Cgil e alla Uil. Era un’eresia allora, ma questo gli diceva il suo cuore, che quelli rappresentavano lavoratori come lui e che se lottavano assieme, alla fine vincevano. E lottarono assieme. La prima battaglia fu per avere i contratti d’azienda. Era un’eresia, gli industriali non li volevano, nemmeno la Cgil ci credeva, ma alla Fiom c’era Bruno Trentin e lottarono assieme. E vinsero. Prima nella vertenza degli elettrici milanesi, poi con il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, prima con l’Intersind, poi con la Confindustria.

Poi ci fu l’autunno caldo del 1969, la fiammata operaia. Il movimento nacque a Berkeley nel 1967, divampò a Parigi nel 1968 e sfociò in Italia nel 1969. Le confederazioni sindacali vennero prese in contropiede. Non capirono, furono travolte. Resistettero e si misero alla guida del movimento operaio quei tre, Bruno Trentin, Giorgio Benvenuto e Pierre Carniti e con loro gli operai vinsero di nuovo. La mutazione era arrivata al capolinea, era nato il sindacato nuovo.

Ma la grandezza di Pierre Carniti fu vitale qualche anno dopo, quando era già segretario generale della Cisl e con le altre due confederazioni avviarono la dura battaglia sulla scala mobile. Trascinati dalle idee di Ezio Tarantelli, l’economista allievo di Franco Modigliani che Pierre aveva preso come suo consigliere e ispiratore, i sindacati trovarono un primo accordo nel 1983 con Enzo Scotti.

Ma non era sufficiente per battere l’inflazione a due cifre che arroventava l’Italia. Allora ci fu un nuovo lungo negoziato con Gianni De Michelis, che aveva sostituito al ministero del Lavoro Scotti. Con lui si arrivò a un nuovo accordo, quello di San Valentino, 14 febbraio 1984, che però non piacque al Pci di Enrico Berlinguer, che impose alla Cgil di non firmare l’accordo. Cisl e Uil firmarono con il governo e con Confindustria. Seguirono settimane terribili, perché il decreto che tagliava la scala mobile era stato approvato dal governo, ma l’iter in Parlamento era durissimo.

Presidente del Consiglio era Bettino Craxi, che resisteva, ma a malapena, tra molte esitazioni. A un certo punto decise di mollare e trovare un accordo con il Pci, sbugiardando i sindacati che avevano firmato l’accordo. Pierre era in ospedale, aveva avuto un’ischemia che quasi lo aveva ucciso. Ma la sua determinazione, la sua forza erano intatte. Telefonò a Craxi e gli disse senza alzare i toni che se il Psi avesse fatto un passo verso il Pci lui avrebbe convocato una conferenza stampa in ospedale per annunciare che continuava la battaglia da solo. Craxi cedette. Poi ci fu il referendum del 1985 e Pierre vinse un’altra volta.

Un gigante che faceva tremare il cuore. Quando cominciava a parlare lo faceva sempre piano, senza troppa enfasi, poi parlando si animava, si accalorava, prendeva quota ed era irresistibile. Per questo lo ho amato. Per questo piango adesso la sua morte, perché era un grande uomo, giusto, onesto, retto, un esempio per tutti. Ci mancherà, mi mancherà tanto, forse troppo. Perché uomini così non ci sono più.

*** *** ***

Caro Massimo, mi hai commosso. La scomparsa di Pierre, dopo quella di Bruno Trentin, lascia un vuoto umano ed intellettuale che nessuno sembra in grado di colmare. La tempra morale, l’empito unitario, il generoso utopismo rappresentano un lascito così impegnativo da esigere una riflessione profonda, che dovrebbe interessare tutti noi, testimoni ed eredi di quegli anni fecondi. Nell’odierno trionfo dell’egoismo e della demagogia, forse ci vorranno generazioni prima di ritrovare una tale forza squisitamente visionaria. Il tuo ricordo, umano e storico, è senza dubbio quello che maggiormente rende giustizia a Carniti e alle sue battaglie, spesso solitarie e mal comprese. Talvolta facevamo fatica anche noi, entusiasti cronisti sindacali, a seguire il suo eloquio, che si sviluppava e procedeva per centri concentrici. Ma quando arrivava al punto di caduta, non potevano esserci dubbi e tutto il ragionamento appariva chiaro e consequenziale.  Mi permetto solo di aggiungere all’esaustivo e appassionato ritratto che hai vergato ( chi altro, se non tu, poteva ricordare il mitico contratto degli elettromeccanici del 1966?), il dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro. Lavorare meno, lavorare tutti.  Intuizioni valide ancora oggi. E’ stato un grande sindacalista e anche un profeta. Facciamo in modo che non finisca imbalsamato nella soffitta della memoria. Tuo Marco

Massimo Mascini

Massimo Mascini

Direttore responsabile de Il diario del lavoro

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