Un disincentivo al lavoro, che ha totalmente fallito sulla parte delle politiche attive. È questo il giudizio di Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio. In questa fase, spiega Prampolini, servono strumenti flessibili per il mercato del lavoro, come i voucher. Sulla riforma delle politiche attive ancora il governo non ha presentato nessuna proposta organica, e su quella degli ammortizzatori sociali la numero due di Confcommercio si dice favorevole a una protezione universale ma non a uno strumento unico.
Prampolini quali sono le prospettive per la ripresa?
È molto difficile fare previsioni a lungo termine. I dati sul Pil sono positivi e quello che stiamo riscontrando è una grande voglia da parte degli imprenditori di ripartire. C’è una condizione di ottimismo molto diffusa.
È possibile che la ripresa interessi i settori in modo diverso?
Tutti sanno che ci sono settori che più di altri hanno risentito della pandemia. Sicuramente c’è il rischio che la ripresa proceda a macchia di leopardo, non in modo uniforme.
Ci può essere una diversificazione anche territoriale?
Sicuramente. L’andamento della campagna vaccinale è una variabile che può incidere sul rilancio di alcune filiere produttive, e sappiamo che non sta procedendo allo stesso modo in tutte le regioni. Un altro rischio che dobbiamo scongiurare è che alcuni lavoratori più fragili, penso alle donne e ai giovani, non riescano a prendere il treno della ripresa.
Nelle ultime settimane è emerso il problema, per le imprese del commercio, del turismo e della ristorazione, di non riuscire a trovare lavoratori in vista dell’estate. È una difficoltà reale?
Si e trasversale a molti comparti. È una problematica che già lo scorso anno avevamo riscontrato.
Molti vedono nel reddito di cittadinanza uno dei principali colpevoli di questo problema. Lei è d’accordo?
Si. Nel commercio un contratto full time si aggira su i 1.200-1.300 euro. Il reddito di cittadinanza, in certi casi, supera gli 800 euro e questo crea sicuramente un disincentivo. È vero la somma è inferiore a uno stipendio, ma stando a casa si evitano tutta una serie di spese collegate allo svolgimento di un lavoro, come i trasporti. Naturalmente è giusto che ci sia una forma di sostegno per le fasce più in difficoltà, ma il vero problema è stato quello di aver collegato il reddito di cittadinanza con le politiche attive. Non c’è stato nessun miglioramento nei centri per l’impiego nell’incrociare domanda e offerta, e dei navigator non si ha traccia.
E il tutto non potrebbe dipendere dal fatto che le retribuzioni orarie in certi casi sono molto basse?
Sicuramente ci sono datori di lavoro che applicano contratti pirata che devono essere assolutamente disincentivati. Ma se guardiamo agli accordi firmati delle organizzazioni maggiormente rappresentative, ci sono tutta una serie di diritti e tutele che non si esauriscono nello stipendio. Oltre alle normali mensilità c’è la tredicesima, welfare, sanità e previdenza integrativa.
Cosa serve in questo momento al mercato del lavoro dal vostro punto di vista?
Maggiore flessibilità.
Si sta riparlando dei voucher. Può essere uno strumento utile?
Assolutamente sì. Sono stati cancellati perché qualcuno li usava in modo improprio, ma era sufficiente fare i controlli e sanzionare le irregolarità. Togliendoli del tutto si è danneggiato non solo le imprese, ma anche quei lavoratori che per vari motivi avevano una situazione non compatibile con l’attuazione di un contratto. Allo stesso modo si deve mantenere l’acausalità per i contratti a tempo determinato come si è fatto in questi mesi di pandemia.
Venendo al tema delle politiche attive, avete ricevuto una proposta di riorganizzazione da parte del governo?
Al momento no, non c’è nessuna revisione organica. Gli incontri fatti sono stati molti, nei quali è stata ribadita l’importanza delle politiche attive e della formazione, ma al di là di questa presa d’atto purtroppo non è stato fatto altro.
Sul fronte della riforma degli ammortizzatori sociali?
Su questo punto il governo ha avanzato un’idea di riforma sulla quale siamo in parte d’accordo. È giusto pensare a una copertura universale ma non a uno strumento unico. Ogni settore è diverso dall’altro, e non si può semplicemente pensare di traslare la Cassa integrazione dell’industria ad altri comparti. Il Fis, il fondo di integrazione salariale, è uno strumento che è stato molto utile per le nostre imprese e i nostri lavoratori, che può essere rafforzato, ampliando il numero di aziende che lo finanziano. Ma la Cassa integrazione dell’industria richiederebbe un salto contributivo troppo alto e soprattutto non sarebbe utile.
Tommaso Nutarelli