La ripresa economica si rafforza e l’industria va avanti, ma cresce l’Italia del rancore. Lo sostiene il Censis nel 51esimo rapporto sulla situazione sociale del Paese.
“La ripresa c’è – afferma il Censis – come confermano tutti gli indicatori economici. A eccezione degli investimenti pubblici: -32,5% in termini reali nel 2016 rispetto all’ultimo anno prima della crisi. Dal 2008 la perdita di risorse pubbliche destinate a incrementare il capitale fisso cumulata anno dopo anno è di 74 miliardi di euro”.
L’industria “è uno dei baricentri della ripresa. L’aumento del 2,3% della produzione industriale italiana nel primo semestre del 2017 è il migliore tra i principali paesi europei (Germania e Spagna +2,1%, Regno Unito +1,9%, Francia +1,3%). E cresce al +4,1% nel terzo trimestre dell’anno. Il valore aggiunto per addetto nel manifatturiero è aumentato del 22,1% in sette anni, superando la produttività dei servizi”.
Ma il Censis avverte che nella ripresa “persistono trascinamenti inerziali da maneggiare con cura. Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore. L’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. Pensano che al contrario sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei più abbienti”.
“La paura del declassamento – aggiunge il Censis – è il nuovo fantasma sociale. Ed è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso”.
“Allora – sottolinea il centro studi – si rimarcano le distanze dagli altri: il 66,2% dei genitori italiani si dice contrario all’eventualità che la propria figlia sposi una persona di religione islamica, il 48,1% una più anziana di vent’anni, il 42,4% una dello stesso sesso, il 41,4% un immigrato, il 27,2% un asiatico, il 26,8% una persona che ha già figli, il 26% una con un livello di istruzione inferiore, il 25,6% una di origine africana, il 14,1% una con una condizione economica più bassa”.
“E l’immigrazione – aggiunge il Censis – evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, con valori più alti quando si scende nella scala sociale: il 72% tra le casalinghe, il 71% tra i disoccupati, il 63% tra gli operai”.
L’Italia è “un paese invecchiato che fatica ad affacciarsi sullo stesso mare di un continente di giovani” e il futuro, così, “si è incollato al presente, ma proprio lo spazio che separa il presente dal futuro è il luogo della crescita”.
Il Paese, sottolinea il centro studi, “è impotente di fronte a cambiamenti climatici e a eventi catastrofici che chiedono grandi risorse e grande impegno collettivo; ferito dai crolli di scuole, ponti, abitazioni a causa di una scarsa cultura della manutenzione; incerto sulla concreta possibilità di offrire pari opportunità al lavoro e all’imprenditoria femminile, immigrata, nelle aree a minore sviluppo; ambiguo nel dilagare di nuove tecnologie che spazzano via lavoro e redditi; incapace di vedere nel Mezzogiorno una riserva di ricchezza preziosa per tutti”.
“Il prezzo – aggiunge il Censis – che abbiamo pagato a questo decennio di progresso sottotraccia è proprio il consumo, senza sostituzione, di quella passione per il futuro che esorta, sospinge, sprona ad affrettarsi, senza volgersi indietro. Ora il nostro futuro si prepara sul binomio tecnologia-territorio: sulla preparazione alla tecnologia con solidi sistemi di formazione e sulla valorizzazione del territorio con adeguate funzioni di rappresentanza politica ed economica”.
“La politica – sottolinea il Censis – ha mostrato il fiato corto, nell’incessante inseguimento di un quotidiano ‘mi piace’, nella personale verticalizzazione della presenza mediatica. I decisori pubblici sono rimasti intrappolati nel brevissimo periodo”.
“Il disimpegno dal varo delle riforme sistemiche – secondo il rapporto – dalla realizzazione delle grandi e minute infrastrutture, dalla politica industriale, dall’agenda digitale, dalla riduzione intelligente della spesa pubblica, dalla ricerca scientifica, dalla tutela della reputazione internazionale del Paese, dal dovere di una risposta alla domanda di inclusione sociale, ha prodotto una società che ha macinato sviluppo, ma che nel suo complesso è impreparata al futuro”.
“Se chi ha responsabilità di governo e di rappresentanza – conclude il centro studi – si limita a un gioco mediatico a bassa intensità di futuro, resteremo nella trappola del procedere a tentoni, senza metodo e obiettivi, senza ascoltare e prevedere il lento, silenzioso, progredire del corpo sociale”.
Sul versante occupazionale, il Censis rileva che c’è più lavoro per i giovani, ma la disoccupazione resta molto elevata. “Si consolidano – secondo il centro studi – i primi segnali di ripresa per l’occupazione dei giovani, già registrati nel corso del 2016. Nei primi sei mesi di quest’anno gli occupati con un’età compresa tra i 15 e i 34 anni hanno raggiunto 5,108 milioni di unità, con un aumento di 67mila giovani rispetto al primo semestre del 2016”.
“La variazione positiva – spiega il Censis – è stata dell’1,3% e ha portato la quota dell’occupazione giovanile, sul totale delle persone che lavorano, al 22,3%, un punto decimale in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Il tasso di occupazione, calcolato sul totale delle persone della stessa fascia d’età, è del 40,7% e nel confronto fra i primi tre mesi di quest’anno e il trimestre successivo aumenta di un decimale, confermando una tendenza comunque positiva”.
Una tendenza “che si rispecchia nella diminuzione del tasso di disoccupazione, ancora però molto alto: il 20,8%, oltre 9 punti in più rispetto al tasso riferito all’intera popolazione in età lavorativa. Il 65,9% dei giovani di 18-34 anni dice di conoscere i voucher per il lavoro accessorio e il 53,6% di essere informato dell’esistenza del lavoro interinale o in somministrazione, ma solo il 48,6% conosce il programma Garanzia Giovani e meno di un terzo ha una reale conoscenza delle politiche attive del lavoro”.
“Le donne – spiega il Censis – migliorano la loro condizione occupazionale nel corso degli ultimi mesi. Tra il primo semestre 2016 e il primo semestre 2017 il successo nella ricerca di un lavoro ha premiato 133mila donne, con un incremento dell’1,4% delle donne occupate a fine periodo.
Il tasso di occupazione sale di quasi un punto, due decimali in più rispetto all’aumento del tasso di occupazione maschile”.
“A fronte – secondo il rapporto – di una maggiore partecipazione (il tasso di attività femminile aumenta dello 0,9% tra i due semestri) si estende, seppure di un solo decimo di punto, il numero delle donne in cerca di un impiego, portando il tasso di disoccupazione a crescere di 4 decimi di punto. Nel 1977 il divario tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile era pari a 41,4 punti percentuali. Il primo semestre di quest’anno ci consegna un’immagine ancora non positiva, poichè i punti del divario si sono ridotti notevolmente, ma la distanza da colmare è ancora di ben 18 punti”.
“Il profilo dell’occupazione femminile – aggiunge il centro studi – indica una maggiore propensione a puntare sull’area del lavoro indipendente. Tra il 2015 e il 2016 le donne alla guida di un’impresa sono cresciute del 6,9% e la libera professione ha visto allargarsi la platea femminile del 7,6%. Nello stesso periodo aumenta del 3,6% il numero di donne dirigenti, mentre quello relativo agli uomini mostra il segno negativo (-0,3%), così come risulta in diminuzione dello 0,6% il dato riferito agli uomini nei livelli direttivi e quadri, mentre le donne crescono del 2,1%”.
Il Censis ha calcolato che l’88,5% dei dipendenti stranieri (1.838.639 persone) fa l’operaio, mentre tra gli italiani la quota è del 41%. Solo il 9,9% dei lavoratori stranieri (206.409 occupati) lavora come impiegato, quota che per gli italiani è del 48%.
La “segregazione professionale”, che costringe gli stranieri in profili prettamente esecutivi, emerge anche dal dato sui quadri stranieri, che sono appena 11.618 e rappresentano lo 0,6% del totale dei lavoratori. La percentuale scende ancora per i dirigenti stranieri, che sono 9.556, contro i 391.585 dirigenti italiani.
I rapporti di lavoro avviati nel 2016 mostrano che su 1.881.918 nuove contrattualizzazioni, 520.508 (il 27,7%) riguardano i braccianti agricoli, assunti nella quasi totalità dei casi con contratti stagionali. Seguono l’assistenza alle persone (158.977, pari all’8,4% del totale) e i collaboratori domestici (123.659, il 6,6%).