Lunedì prossimo, 29 settembre, approderà al Mimit la vertenza che riguarda il Nms, ovvero il Nerviano medical sciences, uno dei centri ricerca d’eccellenza italiani e tra i più importanti di ricerca oncologica in Europa, oggi a rischio chiusura. I sindacati ritengono inadeguato che si usi il termine ‘’vertenza’’, accomunando il caso a quelli delle molte altre crisi industriali: col Nms, spiega Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil, “finirebbe non solo un’azienda, ma un pezzo fondamentale della conoscenza italiana, dove si sono formati ricercatori di livello mondiale, che hanno contribuito a sviluppare farmaci fondamentali. Non si perderebbero solo posti di lavoro, ma la capacita stessa del paese di innovare”.
La chiusura del Nms, prosegue Falcinelli, è il sintomo di un problema strutturale. In Italia la spesa in ricerca e sviluppo è cronicamente insufficiente. Secondo i dati Ocse investiamo circa l’1,3% del pil: meno della metà della media Ocse, che è 2,8%, e ben sotto la media europea, al 2,1%. Paesi come la Germania sono già oltre il 3%, e gli Stati Uniti hanno consolidato livelli simili o superiori.
Il divario con i leader mondiali si è allargato negli ultimi quarant’anni: se negli anni Ottanta del secolo scorso eravamo distanti circa un punto percentuale, oggi il gap con gli Stati Uniti è sopra i due. “Non stiamo solo rallentando, stiamo arretrando”. Il paradosso è che mentre noi arretriamo, altre economie corrono. In Italia, invece, interi settori ad alta tecnologia – quelli che dovrebbero trainare la crescita e la competitività – “si trovano a competere con risorse troppo scarse. E la ricerca di base, la più costosa, quella che richiede più tempo, è la prima a essere sacrificata”.
“Un tempo in Italia si individuavano fino a cento molecole promettenti all’anno. Oggi siamo scesi a dieci, quindici. È un crollo verticale. La logica è chiara: le imprese hanno abbandonato la ricerca di base, considerata troppo costosa e incerta, e si sono concentrate sul pezzo finale della catena, più rapido e remunerativo. Ma così l’industria diventa un gigante dai piedi d’argilla: basta che i colossi globali decidano di riportare vicino casa anche le fasi finali della produzione per ritrovarci senza più niente”. E poi c’è tutta la tematica dei ricercatori. Si parla ogni giorno dei ‘’cervelli in fuga’’, eppure non si fa nulla per fermarli, anzi. Si sbarrano i cancelli dei migliori centri dove potrebbero operare.
“Pezzi interi del nostro sistema produttivo vengono dimessi o venduti senza alcuna logica ne tantomeno un indirizzo nazionale di politica industriale”, osserva ancora Falcinelli, che porta l’esempio della chimica di base dell’Eni, smantellata recentemente: “abbiamo chiuso impianti che producevano materiali essenziali, pensando che fosse più conveniente importarli. Oggi interi comparti industriali dipendono dall’estero”. E quando si perde una capacita strategica, recuperarla poi diventa quasi impossibile.
Il Nerviano medical sciences, in questo senso, è un simbolo: “Non riguarda solo Milano o la Lombardia: riguarda la capacità dell’Italia di decidere se vuole stare tra i Paesi che innovano o tra quelli che comprano innovazione dagli altri. La scelta è semplice: o investiamo, riconoscendo che la ricerca è la più grande infrastruttura del futuro, o accettiamo di diventare un Paese dipendente. La chiusura del Nerviano medical sciences è un campanello d’allarme che non possiamo permetterci di ignorare. Faremo di tutto per impedirlo”.



























