L’estate non ha ancora raggiunto il suo picco, ma il caldo comincia già a farsi sentire con tutta la sua forza. E le temperature da bollino rosso, che ormai si registrano con una certa frequenza, sono un vero e proprio problema per il lavoro all’aperto. Edilizia e agricoltura sono i settori più colpiti, dove l’eccessiva afa ha un maggiore impatto sulla salute dei lavoratori.
“Il lavoro nei campi è tra i più esposti alla mutevolezza del clima. Le alte temperature si fanno sentire anche per chi opera nelle serre e in alcune specifiche mansioni dell’industria alimentare. Per chi lavora vicino ai forni nella panificazione è prevista la turnazione e una pausa dall’attività. Così come negli edifici dove si pastorizza, con un alto grado di umidità, l’organizzazione impone una stringente alternanza”, afferma Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl.
“Dobbiamo partire dal fatto che il cambiamento climatico è una realtà e così come durante l’autunno o l’inverno è pacifico non svolgere determinati lavori a causa delle intemperie, allo stesso modo deve esserlo in estate”. È questa l’analisi di Cristina Raghitta, segretaria nazionale della Filca- Cisl. “Serve un approccio culturale diverso per gestire questa situazione che non può più essere definita emergenziale. Quindi è sì importante la formazione, ma forse lo è ancor di più l’informazione su quelli che sono i pericoli connessi a un’eccessiva esposizione alle alte temperature”.
Formazione, informazione ma anche prevenzione che per Antonio Di Franco, segretario generale della Fillea-Cgil, deve partire “da un aggiornamento delle malattie professionali. Oggi non sappiamo quali possono essere gli effetti nel medio-lungo termine dovuti a un’esposizione costante alle alte temperature. Per questo è necessaria la creazione di una commissione tecnica che lavori su questo tema. I dati Inail ci parlano di un aumento del 20% delle malattie professionali e di 90mila casi all’anno. Numeri comunque sottostimati”.
Per Stefano Costa, segretario nazionale della Feneal-Uil, la prevenzione passa anche dalla “sorveglianza sanitaria nei cantieri che potrebbe mappare la popolazione lavorativa per individuare quelle persone maggiormente esposte allo shock termico. Questo potrebbe darci anche una classificazione dei fenotipi della pelle e inserire così le malattie dermatologiche tra i rischi professionali”.
Nel mondo edile, secondo Di Franco, la cultura della prevenzione e della sicurezza passa “da una vera legge che qualifichi le imprese. La patente a punti è stata solo un ulteriore aggravio burocratico privo di effetti positivi. Con il super bonus sono nate moltissime aziende solo per prendere i fondi senza avere nessuna contezza di come operare in un cantiere e quali misure mettere in atto per garantire la salute e la sicurezza”.
Permangono, tuttavia, ostacoli oggettivi. “Il lavoro agricolo – sostiene Rota – è molto parcellizzato, fatto a volte da micro imprese, dove non sempre i controlli riescono ad avere la necessaria pervasività. Ovviamente nelle imprese più grandi e maggiormente strutturate la presenza del sindacato è più forte e la contrattazione più efficace”. Anche per Silvia Guaraldi, segretaria nazionale della Flai-Cgil, c’è una criticità legata agli accertamenti: “Solo il 2% delle aziende sono ispezionate e meno dell’1% dei lavoratori. Inoltre, la presenza di migranti rende più difficile le verifiche perché c’è sempre un timore verso la divisa”.
Allo stesso modo nei cantieri, precisa Costa, “le piccole e piccolissime imprese, che costituiscono l’80% del tessuto produttivo, non sempre sono in grado di fare prevenzione e assicurare gli adeguati standard di sicurezza contro lo stress termico. Mancano le figure professionali preposte e il Documento di valutazione dei rischi – che dovrebbe elencare tutti i pericoli, compresi quelli legati al caldo, prima dell’inizio dei lavori – molto spesso è un pezzo di carta precompilato”.
Proprio sui rischi, uno studio realizzato in sinergia tra l’Inail e il Cnr dimostra la stretta correlazione tra stress climatico e incidenti sul lavoro. L’esposizione continua alle alte temperature non ha solo effetti negativi per la salute, ma innalza anche la probabilità di infortunio in ragione di condizioni fisiche e psichiche compromesse e dalla minore capacità di fronteggiare eventi inattesi. Sudorazione alle mani, scarsa visibilità, temperature elevate delle superfici possono, se combinati insieme, determinare scivolamenti e cadute. Il caldo, inoltre, compromette anche la concentrazione e la postura.
“Nei cantieri – afferma Raghitta – devono essere presenti punti di ristoro all’ombra, acqua fresca e crema solare, da inserire tra i dispositivi di protezione obbligatori”. Analoghi accorgimenti, poi, devono essere presi anche nell’agricoltura. Guaraldi spiega che “le difficoltà logistiche che si possono incontrare nel realizzare dei gazebo, perché il lavoro nei campi non è statico, non possono essere delle scusanti per ridurre gli accorgimenti in materia di salute e sicurezza”.
Come si legge nello studio, attraverso un modello epidemiologico che analizza la serie giornaliera delle temperature e la serie degli infortuni, si possono associare al caldo 4mila incidenti, soprattutto in edilizia, agricoltura e logistica. E a farne le spese non è unicamente la salute dei lavoratori, ma anche la produttività. Il calo è stimato in circa il 6,5% quando si bloccano i lavori, percentuale che può salire all’80% in condizioni di sforzo fisico elevato. Ovviamente tutto questo ha un costo. Le spese assicurative e gestionali legate agli infortuni occupazionali correlati allo stress termico sfiorano i 50 milioni di euro annui.
Ma oltre ai danni causati alla salute, lo stop imposto dalla colonnina di mercurio ha ripercussioni anche sulle tasche degli addetti. “Il lavoratore agricolo – dice Guaraldi – viene pagato a ore e sul salario reale si calcola l’aspetto previdenziale, la disoccupazione agricola – che è una forma di integrazione al reddito – e anche la malattia e l’infortunio. Se l’inizio della giornata lavorativa viene anticipato alle prime ore della mattina e comporta una riduzione delle ore, questo è un problema marginale se ciò si verifica sporadicamente. Diventa più impattante per il computo della retribuzione quando lo stop imposto dal caldo si prolunga”.
“È necessario, così come già avvenuto nel 2023 e nel 2024 – spiega la segretaria nazionale della Uila-Uil, Alice Mocci- che venga emanato un nuovo decreto che estenda la possibilità di fruire della Cisoa anche in caso di alte temperature. Questa misura tutelerebbe gli operai a tempo indeterminato e noi chiediamo, in aggiunta, che vengano trovate tutele anche per gli operai a tempo determinato per i quali non è mai stato previsto un ammortizzatore sociale per fare fronte a questa emergenza.
Contrattazione, contratto nazionale e bilateralità, sono per i sindacati tra i principali strumenti di intervento, che Rota definisce “la cornice di riferimento dalla quale attingere anche per governare il tema caldo”. Altresì Mocci ribadisce la centralità della contrattazione. “Il contratto nazionale, il Testo Unico sulla sicurezza e i contratti provinciali e le ordinanze regionali sono tutti strumenti che ci consentono di garantire la salute dei lavoratori. Gli Rls e gli Rlst, quando sono presenti, sono ulteriori sentinelle per monitorare i rischi legati al caldo”.
C’è, infine, la mancanza di un intervento legislativo strutturale che i sindacati chiedono da tempo. In assenza di un provvedimento nazionale volto a colmare questo vuoto ci pensano le ordinanze regionali. Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Puglia e Calabria si sono già mosse. Si tratta di provvedimenti che si assomigliano molto nei contenuti. Le ordinanze fanno scattare il divieto nelle ore più calde del giorno, solitamente dalle 12 alle 16, che però non parte in automatico ma solo quando è segnalata l’allerta di caldo estremo. Le Regioni si basano sulle mappe previsionali fornite dalla piattaforma Worklimate 2.0 che segnalano, con qualche giorno di anticipo, le aree e le date in cui il rischio per i lavoratori esposti al sole è classificato come “Alto”.
“Ci troviamo sempre a dover rincorrere perché manca la volontà politica di arrivare a un intervento legislativo organico. A ciò si aggiunge l’ideologia di questa maggioranza che nega la realtà del cambiamento climatico. Bisogna far scattare in automatico la cassa integrazione quando si raggiungono determinate temperature e non lasciarla alla discrezionalità del datore di lavoro. Allo stesso modo si deve liberare l’impresa dal rischio di subire delle sanzioni se non rispetta le tempistiche concordate con il committente a causa del blocco del cantiere per il caldo” argomento Di Franco.
“Non si può lasciare tutto in mano alla sensibilità delle singole ordinanza regionali, che si muovono in ordine sparso e con tempistiche diverse”, sostiene la Flai “Le ordinanze regionali contengono indicazioni spesso generiche che non tengono conto delle reali condizioni climatiche, lavorative e produttive. Per questo è fondamentale trovare soluzioni concrete tramite la contrattazione provinciale che può rimodulare l’organizzazione del lavoro coniugando la tutela della salute e sicurezza di lavoratrici e lavoratori con la continuità produttiva”, aggiunge la Uila. “Da tempo – spiega la Feneal- chiediamo l’apertura di un tavolo permanente sulla sicurezza. Speriamo che l’incontro dello scorso 13 giugno vada in questa direzione”.
Tommaso Nutarelli