Ermes Riva, segretario generale della Camera del lavoro della Brianza, come tutti è rimasto colpito dalla rigidità del rapporto gerarchico in Cina. Da attribuire, afferma, all’abitudine contratta in millenni di dominio, prima degli imperatori, rappresentanti di dio in terra, poi del partito comunista. Ma non crede che questo sia per loro un punto di forza. Anzi, pensa che potrebbe essere quel sassolino nell’ingranaggio dello sviluppo che potrebbe creare dei problemi di non facile soluzione.
Un boomerang?
Sì, vince o il mercato o questa storia millenaria.
Il sindacato può attenuare questo scontro?
Il sindacato cinese è fortemente inserito nel sistema istituzionale, ma tenta di crearsi un ruolo con delle iniziative contrattuali. Quando abbiamo incontrato i rappresentanti dei sindacati mi aspettavo di parlare con loro solo di temi sociali, come sempre con sindacati del genere. E invece no, hanno un ruolo contrattuale, cercano in qualche modo di andare incontro alle esigenze delle persone, dei lavoratori. Segno che capiscono che il sistema scricchiola e vorrebbero intervenire.
I nodi dell’economia cinese, di questo grande sviluppo, sono visibili?
Visibili no, perché all’apparenza tutto fila ancora, ma si avverte una tensione fortissima.
Quali sono i sintomi di questa tensione?
Per esempio, il grado di avanzamento delle fabbriche. Non abbiamo visto molto nel nostro viaggio, ma nelle tre fabbriche in cui siamo stati, tutte del settore dell’automotiv, era evidente l’arretratezza delle scelte tecnologiche, per le strutture produttive esistenti, per il numero di persone impiegate, per la stessa organizzazione del lavoro.
C’era poca automazione?
Pochissima, era evidente la necessità di dare lavoro a tante persone. Ma così la competitività può venire solo dal costo del lavoro.
Che infatti è un decimo di quello europeo e in generale dei paesi occidentali.
Questo però porta a un’intensificazione dell’utilizzo delle risorse umane, che alla lunga non può non portare alla rottura, anche per i pazienti cinesi.
Quindi tecnologia arretrata. Ma la Cina non ha fatto scelte tecnologiche molto avanzate?
Nelle fabbriche che abbiamo visitato noi non ci è parso. Gli standard erano indietro di almeno 20 anni rispetto alle fabbriche italiane. Possono riprendersi, è evidente, tutto dipenderà dal prossimo salto tecnologico. Non escludo che possano arrivare prima di noi all’economia della conoscenza e dell’informazione, ma dovranno osare moltissimo, appunto saltare due decenni. Non è facile.

























