“Se un tempo i “camalli” e le loro organizzazioni sindacali erano argine naturale all’infiltrazione della criminalità organizzata, oggi sono in tanti ad essere al servizio dei clan e questo è “espressione e misura del grado di infiltrazione delle organizzazioni mafiose nei gangli vitali della società”. Cosi’ Franco Roberti, procuratore nazionale Antimafia, nella relazione annuale presentata questa mattina.
Che le mafie, e in particolare la ndrangheta, abbiano da tempo colonizzato il nord Italia non e’ una novita’ assoluta. Quello che appare nuovo, nelle parole del procuratore Roberti, e’ che questa ‘’colonizzazione’’ abbia toccato non solo il mondo imprenditoriale, ma anche quello del lavoro e delle organizzazioni che lo rappresentano. Riferendosi all’infiltrazione nel sistema portuale nazionale, Roberti precisa che il fenomeno non riguarda solo il ‘solito’ porto di Gioia Tauro ma anche Genova a Savona, Trieste, Venezia e Livorno, oggi trasformati, spiega il procuratore, ‘’in stabili punti di sbarco di grossi quantitativi di sostanza stupefacente importata dal Sud America’’. Un fenomeno che si e’ espanso anche perche’, secondo le parole di Roberto, sarebbe venuto a mancare il tradizionale ”argine” costituito dai portuali, una delle categorie piu’ storicamente sindacalizzate d’Italia, e delle stesse organizzazioni che li rappresentano.
La ‘ndrangheta, tra le mafie storiche, e’ del resto quella più in salute: “Si è di fronte ad un complesso di emergenze significative, ancora di più che in passato, di una ndrangheta presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando – constata la Dna – in tal modo, le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o, comunque, imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo”.
I clan non solo si confermano capillarmente presenti su tutto il territorio calabrese, ma giorno dopo giorno si dimostrano in grado di infettare sempre più territori diversi. Nelle diverse regioni del Nord Italia i clan hanno messo radici solide. Se il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana sono per la Dna territori di reinvestimento grazie a operatori economici compiacenti, Piemonte e Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna ed Umbria, sono invece regioni in cui “vari sodalizi di ndrangheta hanno ormai realizzato una presenza stabile e preponderante”. Un’infezione che ha contaminato i territori non grazie al sangue versato, ma utilizzando “il “capitale sociale”, fatto di relazioni con il mondo politico, imprenditoriale ed economico”.