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Sanità, Fondazione GIMBE: Ssn in codice rosso, serve un radicale cambio di rotta

redazione
Marzo28/ 2023

“La crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale sta raggiungendo il punto di non ritorno tra l’indifferenza di tutti i Governi che negli ultimi 15 anni, oltre a tagliare o non investire in sanità, sono stati incapaci di attuare riforme coraggiose per garantire il diritto alla tutela della salute” . È l’allarme lanciato da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE. L’emergenza COVID-19, spiega GIMBE, ha ulteriormente indebolito il SSN, specialmente sul fronte del personale e il netto aumento del finanziamento pubblico negli ultimi anni è stato interamente assorbito dall’emergenza, tanto che ora le Regioni rischiano di tagliare i servizi. Senza contare che il DdL sull’autonomia differenziata potrebbe dare il colpo di grazia al SSN.

Il ritardo delle prestazioni sanitarie accumulato durante la pandemia ha determinato un ulteriore allungamento delle liste di attesa cosicché le persone sono costrette a rivolgersi al privato oppure attendere i lunghi tempi di attesa delle strutture pubbliche sino a rinunciare alle prestazioni. Secondo una recente audizione dell’Istat, infatti, la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, sino all’11,1% nel 2021. E se nel 2022 le stime attesterebbero un recupero con una riduzione al 7%, l’ostacolo principale rimangono le lunghe liste di attesa (4,2%) rispetto alle rinunce per motivi economici (3,2%).

Nel 2021 la spesa sanitaria in Italia ha raggiunto i 168 miliardi di euro, di cui 127 miliardi di spesa pubblica (75,6%), 36,5 miliardi (21,8%) a carico delle famiglie e 4,5 miliardi (2,7%) sostenuti da fondi sanitari e assicurazioni (dati Istat). Secondo il recente Rapporto CREA Sanità nel 2021 la spesa privata è in media € 1.734 per nucleo familiare, ovvero il 5,7% dei consumi totali. E nel 2020 oltre 600 mila famiglie hanno dovuto sostenere spese ‘catastrofiche’, ovvero insostenibili rispetto ai budget, e quasi 380 mila famiglie si sono impoverite per spese sanitarie, in particolare nelle Regioni meridionali.

Il monitoraggio del Ministero della Salute sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) evidenzia sensibili diseguaglianze regionali con un gap Nord-Sud ormai incolmabile, che rende la ‘questione meridionale’ in sanità una priorità sociale ed economica’. Infatti, guardando ai punteggi LEA nel decennio 2010-2019, tra le prime 10 Regioni solo due sono del centro (Umbria e Marche) e nessuna del sud; nel 2020 solo 11 Regioni risultano adempienti ai LEA, di cui solo la Puglia al Sud; eccetto Basilicata e Sardegna sono in Piano di rientro tutte le Regioni del centro-sud, con Calabria e Molise commissariate; e nel 2020 Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto attraggono il 94,1% della mobilità sanitari.

Ci sono poi diseguaglianze tra aree urbane e rurali, tra uomini e donne, oltre che correlate al grado di istruzione e di reddito. In pratica, il SSN garantisce una ‘salute diseguale’ che si riflette anche sugli anni di vita perduti. Infatti, il recente report dell’Eurostat documenta che in Italia si vive più a lungo nelle Regioni del Centro-Nord, con la Provincia autonoma di Trento in testa (84,2 anni), rispetto a quelle del Sud, con la Campania fanalino di coda (80,9 anni).
L’annuario statistico del SSN pubblicato il 23 marzo restituisce l’entità dell’offerta delle strutture sanitarie private accreditate, ovvero rimborsate con il denaro pubblico. Nel 2021 risultano private accreditate: il 48,6% delle strutture ospedaliere (995); il 60,4% di quelle di specialistica ambulatoriale (8.778); l`84% di quelle deputate all’assistenza residenziale (7.984) e il 71,3% di quelle semiresidenziali (3.005), ovvero le due tipologie di RSA; il 78,2% di quelle riabilitative (1.154).

Infine il connubio tra fondi sanitari e assicurazioni, sostenuto dalle politiche del welfare aziendale. I fondi sanitari, che godono di consistenti agevolazioni fiscali, erano nati per integrare le prestazioni non offerte dal SSN (odontoiatria, long term care), ma di fatto per circa il 70% erogano prestazioni già incluse nei LEA tramite la sanità privata accreditata. E siccome le assicurazioni sono divenute veri e propri gestori dei fondi sanitari, pi vantaggi del welfare aziendale per i lavoratori iscritti ai fondi sono una mera illusione, perché il 40-50% dei premi versati non si traducono in servizi in quanto erosi da costi amministrativi e utili delle compagnie assicurative. Ovvero, i beneficiari delle risorse pubbliche provenienti dalla defiscalizzazione dei fondi sanitari sono le assicurazioni che generano profitti, la sanità privata che aumenta le prestazioni erogate e le imprese che risparmiano sul costo del lavoro.

e.m.

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