Renato Santini, segretario generale Fim Cisl della Toscana, avete firmato con il Nuovo Pignone un accordo che introduce per un certo numero di lavoratori 18 sabati lavorativi. Un accordo che avete fermamente voluto. Per quali ragioni era necessario?
Per rispondere positivamente ad una richiesta dell’azienda: poteva sì o no la società pensare ad uno sviluppo produttivo negli stabilimenti italiani (Firenze, Massa, Bari, Talamona) con un incremento del 25% del fatturato, investendo quasi 50 milioni di euro in produzioni ad alta tecnologia, con 170 nuovi assunti (operai diretti), dando quindi concretezza a nostre richieste quali, la qualità del prodotto, rafforzamento dell’alta tecnologia in Italia, investimenti, qualità dell’occupazione (170 contratti a tempo indeterminato)? La risposta della Fim è stata da subito, caparbiamente sì. Questo accordo, non sbaglio a dirlo, avrà un buon effetto sul Pil regionale della Toscana.
La trattativa è durata sei mesi. Perché così lunga? Quali ostacoli avete dovuto superare?
Perché non tutte le organizzazioni sindacali, hanno fatto da subito la nostra stessa analisi. Pur essendo un accordo esemplare, andavamo infatti ad incidere su abitudini di vita consolidate dei lavoratori interessati e delle loro famiglie, ed abbiamo dovuto quindi trovare le soluzioni per limitare questi disagi. Per esempio siamo riusciti, nell’arco di riferimento di 12 mesi, a garantire che in corrispondenza di 36 settimane su 48 annuali vi siano 2 giornate di riposo consecutive ed inclusive della domenica, ed evitando per tutto l’anno il turno del sabato notte. Ed infine siamo riusciti, con volontà ferrea, a far sì che in tutti gli stabilimenti, l’accordo fosse un accordo unitario.
Quasi due terzi dei lavoratori hanno approvato l’intesa. E’ stato difficile convincerli? E per quali motivi gli altri hanno detto no?
Prima di tutto, dobbiamo dire che sia a Massa che a Bari l’accordo è stato approvato da ben oltre il 90% dei lavoratori, ed in tempi molto più brevi. Non è un caso, poiché in questi territori le emergenze occupazionali e le crisi industriali fanno una somma preoccupante. E’ a Firenze che abbiamo incontrato le maggiori difficoltà, riconducibili anche ad una più lenta maturazione di analisi comuni tra i sindacati. Penso comunque che la stragrande maggioranza dei lavoratori, anche a Firenze, abbia compreso che quest’accordo è un investimento per il loro futuro, per garantire stabilità e crescita certa ad un’azienda che può dare, tra le poche nel territorio, certezze occupazionali e di sviluppo professionale quasi uniche. Non ci scordiamo che nell’accordo è prevista l’introduzione di un elemento retributivo professionalizzante equivalente al parametro del 6° livello del nostro contratto nazionale.
L’accordo Nuovo Pignone può aprire la strada ad intese simili in altre aziende?
Sono convinto che siamo di fronte ad un accordo modello anche per altre realtà simili. Risponde all’esigenza di coniugare crescita e sviluppo delle alte tecnologie e della qualità dei prodotti, da una parte, ad una necessità di flessibilità delle aziende per conquistare quote di mercato, dall’altra. Scambia un maggior utilizzo degli impianti, che vedono forti investimenti, con una crescita occupazionale di qualità (contratti a tempo indeterminato), coniuga la qualità dei prodotti con uno sviluppo professionale dei lavoratori, e non per ultimo si occupa anche di incrementi salariali collettivi concordati tra le parti. Per chiudere, penso che questo accordo sia la somma di tutte le buone volontà ed azioni che servono all’industria del nostro Paese per un rilancio effettivo sui mercati internazionali.

























