La vicenda della Franco Tosi è un perfetto specchio della realtà – economica, sindacale, morale – nella quale si dibatte il nostro paese. La Tosi è una azienda con un grande passato alle spalle. Nel campo della termomeccanica era un punto di riferimento, è arrivata a occupare 6.500 persone, era conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Poi le cose hanno cominciato ad andare male, sempre peggio. Alla fine è arrivata a un punto dal non ritorno, amministrazione controllata, a un passo dal fallimento. Quando tutto stava andando a rotoli e gli ultimi 346 lavoratori stavano per essere licenziati si è presentata la Bruno Presuzzi, una piccola azienda del settore, molto capace, che aveva lavorato assieme alla Franco Tosi in più di una commessa. Voleva fare un salto di qualità e ha proposto di acquistare la società per crescere, per tentarne il rilancio.
I lavoratori hanno tirato un sospirone, poteva essere questa la via di fuga dal tunnel della disoccupazione. Sono cominciate le trattative con il sindacato e sono cominciati i dolori. L’idea di fondo della Presuzzi era quella di confermare al lavoro non la totalità dei lavoratori – non subito almeno – applicando loro i nuovi contratti previsti dal Jobs Act, quindi senza articolo 18. La trattativa è stata lunga e complessa, ma il punto saliente è che a un certo punto la Fiom non c’è stata, voleva la continuità dei vecchi contratti e la voleva per tutti. Presuzzi non era d’accordo, e il sindacato di Landini ha abbandonato sdegnato la trattativa.
Fim e Uilm sono invece restate al tavolo del negoziato. Non è stato facile nemmeno per loro, ma sono rimaste per cercare di salvare il posto di lavoro a quante persone era possibile. Alla fine è arrivato l’accordo. Secondo questa intesa 170 lavoratori sarebbero stati assunti con la nuova tipologia dei contratti a tutele crescenti (o meglio indennizzi crescenti) ma avrebbero potuto avere il trattamento dell’articolo 18 in tutti i casi di licenziamenti disciplinari. Altre 40 persone sarebbero state assunte nel giro di due anni, ma intanto avrebbero goduto dell’assegno di mobilità. Quindici persone sarebbero rimaste nello stabilimento per assicurare manutenzione e guardania, mentre altri 16 sarebbero stati assunti in altre imprese del gruppo Presuzzi. Tra 70 e 80 lavoratori sarebbero andati in pensione nel giro di qualche mese e nel frattempo avrebbero potuto godere del trattamento della cassa integrazione. Restavano ancora tra i 30 e i 40 lavoratori, per i quali l’intesa affermava che sarebbero stati ricollocati entro il 2017 dopo un trattamento di formazione e riqualificazione professionale, sempre sostenuti dall’assegno di mobilità. La Presuzzi si assumeva comunque l’incarico di ricollocarli, per cui nel caso in cui alla fine non si fosse trovata una soluzione, sarebbe stata l’azienda a farsene carico.
Una soluzione equa? Sarebbe stato meglio far assumere tutti dalla Presuzzi, certo, ma questo passava il mercato. La parola è quindi passata al referendum tra i lavoratori, lunedì scorso. Si sono svolte le assemblee, poi si è votato. La Fiom, che alla Tosi conta su 160 tessere, contro le 80 della Fim e le 15 della Uilm, ha consigliato caldamente di votare contro l’accordo; le altre due sigle il contrario. Dei 346 lavoratori hanno votato solo 220, una scheda nulla, 97 a favore dell’intesa, 122 contro. Ha vinto la Fiom, che adesso vuole riprendere le trattative per arrivare alla riassunzione di tutti i 346 lavoratori. Piccolo particolare: la Presuzzi ha subito fatto sapere di non essere interessata a nuova trattativa, per loro la partita è da considerare persa, cercheranno di investire altrove i capitali che volevano spendere per rilanciare la Tosi. E comunque in tanti anni di relazioni industriali i pochi accordi bocciati dai lavoratori al massimo hanno portato un ritocco di qualche norma, mai una vera e propria ripresa di trattativa. Il consuntivo dunque è triste: tutti i 346 lavoratori saranno licenziati.
E’ sempre lo stesso dilemma che scuote le relazioni industriali in questi anni di crisi. I diritti sono importanti e vanno mantenuti gelosamente. Ma se mantenerli non è possibile, cosa bisogna fare? Mandare tutto a fondo, come ha fatto in questo caso la Fiom, che ha portato al licenziamento tutti i lavoratori della Franco Tosi, o invece mediare, rinunciare a qualcosa pur di salvare il salvabile? Scegliere è difficile. Fim e Uilm hanno optato per salvare il salvabile, e ci erano riuscite perché tutti i 346 lavoratori avrebbero avuto qualcosa, o il posto di lavoro o la speranza di averlo o un corridoio per arrivare alla pensione. Ma, appuntom non è facile. Qualche anno fa si confrontarono in un libro Bruno Trentin e Luis Anderson. Quest’ultimo era un sindacalista dell’America latina, Trentin rappresentava l’Occidente, allora davvero opulento. Trentin giustamente sosteneva la necessità di salvaguardare i diritti, Anderson gli dava ragione, ma, diceva, “prima mangiare”. Una verità indiscutibile per i popoli poveri del Sud del mondo.
Per questo la vertenza della Franco Tosi è lo specchio del nostro paese, che forse non ha capito fino in fondo che non siamo più ricchi come una volta, che un posto di lavoro va salvaguardato perché rappresenta un tesoro, anche se c’è da fare qualche sacrificio. Lottare fino in fondo, fino all’olocausto, forse non serve, forse non è la scelta migliore, almeno per chi deve sopportare il peso di questa scelta.
Massimo Mascini