“Urgono interventi per alleviare la sofferenza sociale, a cominciare dal rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, considerata dagli industriali una scelta vitale”. Lo ha detto il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, all’assemblea annuale dell’associazione, convocata presso la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma.
“Senza interventi decisi e concreti – ha detto – la crescita del Paese non supererà per molto tempo lo 0,5% annuo, del tutto insufficiente a creare lavoro e a risollevare i destini di tantissime imprese”.
Per il presidente di Confindustria “ i problemi del mondo del lavoro vanno affrontati in maniera strutturale e con equilibrio, intervenendo sul costo, sulla produttività e sulle regole”.
“Da Paese manifatturiero – ha aggiunto – non possiamo permetterci la differenza di competitività rispetto ai nostri concorrenti. In Italia da anni il costo del lavoro sale, in Germania scende. Le nostre imprese pagano di più, i nostri lavoratori guadagnano di meno”.
Squinzi ha ricordato come il cuneo fiscale nel 2012 è stato oltre il 53% del costo del lavoro, tra i più elevati nell’area Ocse.
Questo vuol dire, ha detto, “che più della metà di quello che le imprese pagano ai lavoratori va nelle casse dello Stato”.
Bisogna ridurlo, ha specificato, “eliminando il costo del lavoro dalla base imponibile Irap e tagliando di almeno 11 punti gli oneri sociali che gravano sulle imprese manifatturiere”.
Parlando del mercato del lavoro ha detto che “è troppo vischioso e inefficiente” e ha chiesto che venga garantita più flessibilità in ingresso e nell’età del pensionamento, per favorire il ricambio generazionale.
Squinzi ha poi giudicato positivamente che il governo abbia dichiarato di “voler intervenire e prendere seriamente in considerazione le ragioni delle Parti Sociali”.
“Questo – ha aggiunto – è il modo corretto per evitare che si ripetano situazioni analoghe al caso dei lavoratori esodati”.
L’Italia, secondo il presidente di Confindustria, “ha bisogno di modernità anche nelle relazioni industriali. L’intesa che abbiamo raggiunto il 21 novembre scorso a Palazzo Chigi va in questa direzione, perché fissa con chiarezza due passaggi importanti per costruire un sistema nuovo: rappresentanza e valorizzazione della contrattazione aziendale per rafforzare la produttività”.
“Abbiamo firmato accordi con i Sindacati – ha aggiunto – per valorizzare la contrattazione aziendale. Siamo a un passo, dopo sessant’anni, dal definire regole sulla rappresentanza”.
Squinzi non ha nascosto la sua contrarietà sul modo con cui il governo ha reperito le risorse destinate a finanziare gli ammortizzatori in deroga. “Una scelta – ha detto – che comporta il rischio concreto, segnalato al governo, di generare altra disoccupazione”. “Le risorse destinate a sostenere l’occupazione, le politiche attive, la produttività – ha aggiunto – non devono essere impiegate per altri fini. Per questo vanno reintegrate”.
Per il presidente “qualunque filosofia ispiri il dialogo tra azione di governo e relazioni industriali, oggi come in futuro, dovrà fare i conti con la necessità di ripensare il nostro sistema delle tutele. Questo è un capitolo fondamentale per noi, come imprenditori e come cittadini”. In primo luogo, ha sostenuto, “perché uno stato sociale moderno e che garantisca una reale tutela del cittadino costruisce le condizioni per esercitare in modo libero, sereno ed efficiente l’attività d’impresa. In secondo luogo perché un welfare moderno è anche campo di attività economica che apre nuovi, ampi spazi occupazionali”.
“Il nostro modello di welfare – ha aggiunto – è messo in discussione dalle ristrettezze di bilancio pubblico, dall’evoluzione demografica e dal mutamento della domanda dei cittadini. È il terreno sfidante su cui forze sociali moderne, non conservative, devono confrontarsi e offrire soluzioni innovative alle istituzioni, ai cittadini e ai lavoratori”.
Per Squinzi “un moderno sistema di salute, di previdenza, di formazione e accompagnamento al lavoro è il contributo importante che offriamo al Paese”. “È un invito che da qui, oggi, – ha detto – rivolgo alle forze sindacali per un percorso comune”.
Il presidente di Confindustria ha poi aggiunto che “la crescita e l’occupazione passano dal rilancio degli investimenti, soprattutto in ricerca e innovazione. Servono misure automatiche di detrazione. Occorre agevolare il rinnovamento tecnologico e ridurre i tempi di ammortamento”.
Squinzi ha anche invitato a lasciarsi “alle spalle i temi della contesa elettorale passata o, peggio, di quella futura per concentrarsi sulle politiche di ampio respiro necessarie a costruire il futuro del Paese”.
Nella sua relazione, il presidente riconosce la buona volontà del governo Letta nel portare avanti il Dl sui debiti della Pa. “La determinazione sul punto del premier – ha detto – ci ha ancor più motivati nella nostra azione e ha scosso l’apatia della macchina pubblica. Sul piatto abbiamo quaranta miliardi da recuperare al più presto e siamo al lavoro sull’intero debito della Pa”. “Le risorse messe sul tavolo dal decreto debiti Pa – ha proseguito – costituiscono una vera e propria manovra finanziaria per le imprese, inattesa e che molti davano per persa”. “Non ce l’abbiamo ancora fatta”, ammette Squinzi, sottolineando l’impegno per migliorala nelle ultime battute prima del varo definitivo. Poi un avvertimento al governo: “Se per qualche ragione il nostro credito venisse usato per altri fini, chi ci governa sappia che il rapporto con gli imprenditori sarà compromesso irreparabilmente”.
Il presidente di Confindustria chiede anche al governo di garantire una legge elettorale che dia stabilità al paese: “come cittadini e come imprenditori lanciamo un accorato appello alla modernizzazione del Paese, alle riforme che non sono più rinviabili, inclusa la legge elettorale. Ne serve una che assicuri legislature piene e stabilità governativa”.
Il Paese, secondo Squinzi, “si è trovato soffocato in una duplice stretta, da un lato dal il disagio sociale ed economico, che ha alimentato una rabbia diffusa contro la politica e le istituzioni, considerate colpevoli di non saper affrontare la situazione, incapaci di avere visioni grandi, come di fornire soluzioni piccole, ma concrete. Dall’altro, la politica, che invece di rispondere con uno scatto di orgoglio e rinnovamento, si è persa in tatticismi, sprecando tempo ed energie preziosi in questioni marginali per il benessere dei cittadini”. In questo scenario, ha sottolineato, abbiamo perso tutti”.
Squinzi ha poi sottolineato i differenti problemi che affliggono il settentrione e il meridione del Pases. “Il nord – ha sostenuto – è sull’orlo di un baratro economico che trascinerebbe tutto il nostro Paese indietro di mezzo secolo, escludendolo dal contesto europeo che conta. Mentre, a causa delle sue debolezza strutturali, il Mezzogiorno resta una parte del Paese in cui lo sforzo per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione assume le caratteristiche di una vera e propria sfida per la sopravvivenza”.
A frenare la ripresa italiana, ha aggiunto, vi è anche l’eccessivo costo dell’energia: “Non possiamo più permetterci un costo dell’energia elettrica superiore mediamente del 30% rispetto ai nostri concorrenti europei. Le cose vanno meglio sul fronte del gas, dove si è riusciti ad allineare il prezzo ai livelli medi dell’ eurozona e a riequilibrare le componenti parafiscali. Interventi che valgono grosso modo 1,7 mld di euro”. La richiesta di Confindustria è quella di rendere strutturale questa situazione, una scelta che “rappresenterebbe un importante recupero di competitività per le nostre imprese”.
Altra priorità è quella di far ripartire gli investimenti in infrastrutture, incentivando gli enti locali alla realizzazione delle opere pubbliche e modificando le regole del patto di stabilità interno. Non rinviabile, per Squinzi, anche il piano contro il dissesto idrogeologico e per la messa in sicurezza sismica: “Dagli anni ottanta subiamo danni da eventi calamitosi quantificabili in 3,5 miliardi di euro anno. Senza contare il tributo drammatico di vite spezzate”.
Nel passaggio conclusivo, Squinzi ha auspicato che “l’azione del governo possa continuare, per il tempo necessario ad attuare le politiche necessarie, con l’impegno a fare della politica industriale il pilastro portante delle proprie scelte. Questo perché produrre significa lavoro, lavoro significa meno precarietà, migliori tutele, crescita dei salari e della domanda interna”. Quello che ci aspetta, conclude il presidente di Confindustria, è “un grande impegno comune: fare una nuova Italia, europea, moderna, aperta, consapevole delle proprie capacità e qualità”.(LF)
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