Secondo quanto emerge da uno studio condotto dalla Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, se dal 2009 al 2015 fosse stata attivata la norma contenuta nel Decreto Mezzogiorno, in base alla quale, a partire dal 2018, una quota della spesa ordinaria in conto capitale delle amministrazioni centrali proporzionale alla popolazione dovrà essere destinata alle Regioni meridionali, il Pil del Sud avrebbe praticamente dimezzato la perdita accusata (-5,4% invece che -10,7%) e l’occupazione sarebbe diminuita di circa 200 mila unità e non di mezzo milione. Lo studio è stato messo a punto dal presidente della Svimez, Adriano Giannola, e dal ricercatore Stefano Prezioso, che ha evidenziato gli effetti dell`impatto della clausola del 34%.
Nello studio si legge che “lo spostamento di risorse a favore delle regioni del Sud, oltre a correggere una deriva penalizzante per le aree deboli del Paese, rappresenta una ottimizzazione nell’uso di un ammontare dato di risorse pubbliche scarse, quelle appunto destinate a investimenti pubblici, il che significa aumentare efficienza ed efficacia della spesa.”
Per un ammontare dato di risorse disponibili, il criterio del 34%, rispetto al trend storico recente, aumenta quelle investite al Sud, riduce quelle disponibili al Centro-Nord con effetti espansivi da un lato e depressivi dall’altro. L’esercizio mostra come il saldo netto sia positivo a livello nazionale sia per la dinamica del Pil (+0,2%), e fortemente positivo per quello che riguarda l’occupazione migliorando il saldo di oltre 185 mila unità.
E ciò proprio grazie all’impatto del criterio redistributivo sul Mezzogiorno, al quale si contrappone un effetto depressivo molto più contenuto nel Centro-Nord, dove la caduta del Pil sarebbe stata pari a -7,6% a fronte del dato storico del -6,8%, con un sacrificio occupazionale di appena due decimi di punto percentuale, equivalente a +37.600 occupati persi. Ciò anche in conseguenza del fatto che una parte della domanda aggiuntiva che si crea nel Sud in seguito all’attivazione della clausola del 34% è soddisfatta con produzione e occupazione attivata nelle regioni del Centro-Nord.
Infine, per una valutazione di costi e benefici di questa “ottimizzazione” nell’uso di date risorse pubbliche, è opportuno considerare che un eventuale minor gettito fiscale (stante che il vantaggio in termini di Pil nazionale è pari allo 0,2%) va confrontato con i minori costi che la riduzione di quasi 190 mila unità di lavoro disoccupate ha per le finanze pubbliche sia in termini di ammortizzatori sociali che di misure di contrasto alla povertà; per non parlare del ritorno, non facilmente monetizzabile, che un`efficace azione di coesione territoriale comporta sul fronte del contrasto alla disgregazione sociale.