Il Consiglio dei ministri di ieri sancisce il ritorno dello stato in Tim. Nel 1997, infatti, era iniziata la privatizzazione della rete di telefonia nazionale. La riunione dei ministri, la prima dopo la pausa estiva, ha approvato un decreto legge per assicurare le risorse necessarie per consentire l’ingresso del Ministero del Tesoro nell’operazione NetCo” guidata dal fondo americano KKR.
Nello specifico il Mef entrerà come socio di minoranza nell’operazione, con il dicastero guidato da Giancarlo Giorgetti che acquisirà una quota di NetCo compresa tra il 15 e il 20 per cento, con un esborso massimo di 2,2 miliardi. Nella partita il governo Meloni vorrebbe far entrare anche Open Fiber.
Guardando all’operazione nel suo complesso, lo scorso 24 giugno il fondo KKR ha ricevuto, dal consiglio di amministrazione di Tim, il diritto esclusivo a trattare l’acquisizione del 100% di tutti i cavi che dalle centrali di Tim arrivano fino alle nostre case e di quelli sottomarini della controllata Sparkle. Il tutto dovrebbe costare 21 miliardi, che diventerebbero 23 nel caso Open Fiber dovesse far parte dei giochi.
In tutto questo, per capire il ruolo che lo stato dovrebbe avere si deve far riferimento a un comunicato del Ministero delle Finanze del 10 agosto, nel quale veniva dato il semaforo verde all’iniziativa. Nella nota si legge che ” i termini dell’offerta dal punto di vista dei rapporti tra le parti prevedono un ruolo decisivo del governo nella definizione delle scelte strategiche”. In altre parole il governo e il Tesoro hanno selezionato KKR come partner per la rete che, tuttavia, grazie alla Golden Power – ossia la possibilità di uno stato di poter controllare asset ritenuti strategici per l’interesse nazionale – avranno garanzie sulla gestione della rete stessa.
tn