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Home - Approfondimenti - L'Editoriale - Tornano gli scioperi

Tornano gli scioperi

di Massimo Mascini
8 Ottobre 2021
in L'Editoriale
Cgil Cisl Uil, urgente riavvio Cas

I metalmeccanici, gli edili, i lavoratori del trasporto, quelli di Ita in primo piano. Senza clamori, senza sbandieramenti sta crescendo una sorta di risentimento all’interno del mondo del lavoro, che naturalmente si trasforma in manifestazioni di protesta, più o meno radicali. Lo sciopero torna a farsi sentire. Per tutta la pandemia le agitazioni sono state poche e poco frequentate. Per motivi oggettivi, principalmente perché scioperi e manifestazioni difficilmente si fanno col distanziamento. Adesso, stanno tornando. Senza fare rumore, è vero, ma non è detto che la protesta resti sempre sotto traccia, può venire allo scoperto anche abbastanza presto. Dietro queste proteste si agitano le più varie motivazioni. Pesano certamente i drammi delle aziende che hanno chiuso i battenti appena è terminato il blocco dei licenziamenti, la Gkn, la Giannetti, la Whirpool. Lì a sostenere la lotta è la rabbia di chi ha perso il posto di lavoro, e magari è stato avvertito di questa tragedia, che certamente per il singolo questa è, con una mail o addirittura con un tweet. Molta di questa inquietudine è nata e si è sviluppata con la vicenda dell’uso del green pass. Per i più diversi motivi. Si sono arrabbiati quelli che volevano che i vaccini fossero obbligatori per tutti e non accettavano che fosse la necessità del green pass a rendere obbligata la vaccinazione. Ma protestavano anche quelli che il vaccino comunque non se lo volevano fare in nome non si è capito bene di quale libertà. E anche quelli che, senza vaccino e costretti a farsi due tamponi alla settimana, volevano almeno non doversi pagarne il costo. Maurizio Landini ha tuonato più volte in tal senso. Non è giusto, ha detto, dover pagare per lavorare, non si è mai vista una cosa del genere. E, appunto, ha minacciato agitazioni, scioperi.

Non bisogna dare troppa importanza a queste minacce di sciopero. Il conflitto non deve assolutamente essere demonizzato. Ettore Massacesi, uno dei miei maestri, me lo ha insegnato. Il conflitto è connaturato nella società moderna, perché sono tanti gli interessi che vi convivono e quando questi si scontrano inevitabilmente nasce il conflitto. Ed è bene che ci sia conflitto, perché questo significa che lo scontro di interessi è diventato palese e quindi può essere risolto. Perché il problema è tutto lì, occorre che i conflitti siano risolti, a quel punto tutto si appiana. Se questi nodi non venissero allo scoperto, se non ci fosse conflitto i problemi non per questo si risolverebbero, al contrario non potrebbero non crescere e diventare sempre più pericolosi. Per questo dico che non bisogna dare troppo peso alle minacce di sciopero o agli scioperi quando sono attuati.  Però bisogna poi intervenire per eliminare le cause del malcontento.

Caso tipico quello delle aziende che chiudono uno stabilimento e licenziano i dipendenti. Loro, i dipendenti, è normale che scendano in piazza a protestare per i loro interessi a volte calpestati senza motivo. E’ normale e giusto che sia così. Ma parallelamente le autorità a questo preposte devono attivarsi per cercare di risolvere quel problema, di appianare quel contrasto di interessi. Sembra che il ministero dello Sviluppo si stia attivando per risolvere il dramma di quelle tre aziende cercando degli imprenditori o delle cordate di imprenditori che subentrino e sembra anche che qualche lume si inizi a vedere in fondo al tunnel. Questo è un bene, perché è quello che la società si aspetta. Ma, per esempio per quanto riguarda la Gkn e la Giannetti, due aziende fornitrici del settore auto, forse il loro problema non sarebbe nemmeno sorto se lo stesso ministero avesse attivato mesi, ma è meglio dire anni fa quel tavolo dedicato all’automotiv per mettere insieme delle linee di politica industriale per questo particolare settore, che è trainante per la nostra economia. I sindacati lo chiedono da tempo immemorabile, senza successo.

E lo stesso potremmo dire per le grandi riforme che l’Europa ci chiede e che il governo Draghi si è impegnato a realizzare. Alessandro Pagano, il segretario generale della Cgil Lombardia, intervistato da Eleonora Terrosi per Il diario del lavoro su come proceda l’interlocuzione tra il governo e il sindacato, ha candidamente affermato che questa interlocuzione non esiste. Ci sono stati degli incontri, sì, soprattutto con il ministro Orlando, ma mai per esaminare un disegno complessivo, solo sui singoli problemi. Ma se manca un quadro generale è difficile anche capire se un intervento settoriale abbia una sua validità o meno. La Cgil, ha ricordato Pagano, ha tenuto nelle settimane scorse una assemblea generale dei delegati, che normalmente è il primo passo per una mobilitazione. Ora nessuno nel sindacato e nella Cgil vuole arrivare agli scioperi di protesta, per i più diversi motivi, principalmente perché tutti sanno che il governo è impegnato in un duro e difficilissimo impegno per portare a casa quelle riforme. Ma farlo forse non contro, ma anche solo senza il sindacato forse è un errore. L’interlocuzione, il dialogo, il confronto sono questi gli ingredienti per fare bene un lavoro così ampio. La concertazione fu inventata non per dare a qualcuno un potere di veto, ma perché acquisire il consenso di parti importanti della popolazione prima di prendere decisioni importanti è in una società complessa come quella in cui viviamo il modo migliore per portare a casa risultati importanti, primo tra gli altri la coesione sociale, che è poi uno degli obiettivi dichiarati del governo Draghi.

Massimo Mascini

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Direttore responsabile de Il diario del lavoro

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