Ancora oggi in Europa le donne sono pagate meno degli uomini, sono più esposte a lavori precari, rimangono occupate in ruoli che non tengono conto delle loro reali qualifiche di studio o capacità professionali, con il lavoro domestico in gran parte sulle loro spalle. In Europa le donne, che guadagnano il 16% in meno degli uomini, dovrebbero lavorare 59 giorni in più per arrivare ad avere lo stesso stipendio. Questa la fotografia che emerge da un nuovo rapporto di Oxfam, costruito anche grazie alle testimonianze di molte lavoratrici raccolte tra Italia, Spagna, Francia e Gran Bretagna.
Il gap nelle condizioni di lavoro non risparmia l’Italia, dove nel 2017 più del 10% delle donne occupate era a rischio di povertà, ovvero donne che pur lavorando vivono in un nucleo familiare con un reddito disponibile al di sotto della soglia del rischio povertà. Un dato che pone l’Italia tra i Paesi con peggiore performance in Europa su questo indicatore, ancora più allarmante se si considera che meno della metà della popolazione femminile italiana è occupata.
“Bassi salari, lavori precari, difficoltà della conciliazione vita-lavoro, sono tra le principali ragioni per cui le donne vivono una situazione di povertà lavorativa che sta aumentando in Europa – ha detto la direttrice delle campagne di Oxfam Italia, Elisa Bacciotti – le prime ad essere colpite sono le donne migranti, le giovani e le famiglie monoparentali, che affrontano il più alto rischio di precarietà e povertà lavorativa”.
Nonostante i progressi degli ultimi decenni, il tasso di partecipazione economica delle donne in Italia è ancora notevolmente inferiore a quello degli uomini. Nel 2017 infatti il Paese ha continuato a essere tra i peggiori attori per quanto concerne questo indicatore monitorato nel Global Gender Gap Index realizzato dal World Economic Forum, posizionandosi al 118esimo posto su 142 Paesi. Un dato che evidenzia come l’Italia sia ancora indietro in tema di accesso al mercato del lavoro, retribuzione e avanzamento di carriera.
Nel 2017 solo il 48,9% delle donne tra i 15 e i 64 anni aveva un’occupazione, uno dei tassi più bassi dell’Europa a 28. E tra le più colpite risultano essere le madri nella fascia di età 25-34 il cui tasso di occupazione nel 2015 si è attestato al 65%. In Italia 3 donne su 4 sono vittime di part-time involontario.
Nel 2016 1 donna su 4 era impiegata in lavori al di sotto delle proprie qualifiche professionali o formative. Nel 2017, inoltre, l’incidenza delle donne occupate in part time involontario è stata del 69.5%, condizione condivisa a livello europeo, dove 4 lavoratori su 5 impiegati part time sono donne.
Una condizione nella maggior parte dovuta all’impossibilità di conciliare i tempi della maternità e della vita familiare con il lavoro. I dati appaiono impietosi a questo proposito: i lavori domestici sono ancora prerogativa delle donne (81%) rispetto agli uomini (20%), il 97% delle donne contro il 72% degli uomini si prende cura dei propri figli.
“Se non si interviene su misure che permettano alle donne una migliore conciliazione dei tempi vita-lavoro la loro piena occupazione è per sempre compromessa, relegandole a lavori part time, spesso precari e mal retribuiti – conclude Bacciotti – una perdita di capitale umano per un Paese in cui le donne in media risultano avere qualifiche più alte rispetto ai lavori che vengono loro offerti. Investire in questo capitale umano sarebbe un’opportunità per tutti. Così come riconoscere tutto il lavoro di cura, invisibile e non retribuito che le donne portano sulle spalle contribuendo significativamente alla crescita economica di un Paese. I dati sono chiari: nel mondo, il lavoro domestico non pagato delle donne ammonta a 10 miliardi di dollari all’anno, il 13% del Pil mondiale”.