Lavatrici, frigoriferi, lavastoviglie, forni, sempre più polacchi, turchi, russi, cinesi e sempre meno italiani. E’ la delocalizzazione la peste che colpisce il settore elettrodomestico, il secondo settore manifatturiero dopo l’automotive che dà lavoro a 130mila adetti, tra diretti e indiretti. A denunciarlo sono i delegati di Fim, Fiom e Uilm nell’Assemblea unitaria sulla crisi del settore.
La situazione è drammatica, sottolineano le Rsu dei principali gruppi industriali dell’elettrodomestico, e il settore vive una crisi strutturale che subisce la concorrenza, a volte sleale, dei produttori asiatici, turchi, cinesi e coreani, nonché quella dei paesi dell’Est Europa, meta di delocalizzazione da parte degli stessi produttori italiani. Eppure le vendite mondiali di elettrodomestici nell’ultimo decennio sono quasi duplicate, segnale che il settore non è in sovrapproduzione. Ma, nonostante gli utili registrati ogni anno negli stabilimenti italiani, le aziende dell’elettrodomestico hanno messo in cassa integrazione i lavoratori e predisposto nei piani industriali pesanti processi di riorganizzazione e ristrutturazione, con un forte ridimensionamento della capacità produttiva e dei livelli occupazionali, oltre allo smantellamento di interi stabilimenti con il trasferimento all’estero della produzione.
Le attività produttive dal 2002 al 2012 sono più che dimezzate e con esse anche la forza lavoro. In queste settimana sono in corso vertenze importanti da cui potrebbe dipendere il futuro del settore. Infatti, tra tutte, spicca il caso Indesit che scegliendo di chiudere altri due stabilimenti in Italia, Teverola (Caserta) e Melano (Fabriano), spianerebbe la strada, già aperta in passato, agli altri gruppi industriali, specialmente quelli non italiani, nella scelta di delocalizzare ulteriormente le produzioni.
L’emergenza occupazionale investe tutti i grandi gruppi e tutti i territori. A cominciare da Indesit e Whirlpool, al centro della cronaca di questi giorni, per finire a Candy, Acc, Dometic, Antonio Merloni, per citare le vertenze principali. A rischio è il lavoro di 12.000 addetti in Veneto, senza contare l’indotto, di oltre 3.000 in Friuli, quasi tutti nella provincia di Pordenone, di 10.000 in Lombardia, 5.000 in Emilia, ma colpite sono anche le Regioni Piemonte, Campania e Marche. Le Marche in particolare sono tra i territori più colpiti; in discussione è tutto il distretto industriale nel fabrianese che si concentra prevalentemente in due comparti: la produzione di elettrodomestici bianchi (di cui sono imprese rappresentative Indesit Company e Antonio Merloni) e la produzione di cappe aspiranti (Faber, Best, Elica, Tecnowind).
A prevalere, nonostante gli aumenti di produttività dovuti all’innovazione, alla ricerca e sviluppo nel settore, sono strategie, quelle realizzate dalle multinazionali, che seguono logiche consolidate, rincorrono i minori costi della fiscalità e del lavoro a favore della sola logica del profitto, senza scrupoli sulla dignità del lavoro e incuranti del futuro di migliaia di lavoratori.
La Campania, a partire dallo stabilimento Indesit di Teverola, in provincia di Caserta, ne è un esempio evidente. A Teverola, infatti, due anni fa Indesit trasferiva le produzioni di lavatrici da Brembate, in provincia di Bergamo, chiudendo uno stabilimento. Oggi l’azienda ha intenzione di trasferire in Turchia quelle stesse produzioni e le linee produttive, proponendo di spostare da Fabriano a Teverola la produzione dei piani cottura. Assistiamo a un vero e proprio smantellamento delle produzioni in Italia, a stabilimenti che da un giorno all’altro non esistono più o rimangono stazioni di transito di produzioni destinate all’estero, a lavoratori che diventano comparse di uno spettacolo che finora il governo ha osservato passivamente, pur essendo a conoscenza di tutti i problemi.
Per scongiurare la dismissione dell’elettrodomestico in Italia il sindacato è pronto a scendere in campo con tutte le iniziative possibili. Innanzitutto, Fim, Fiom e Uilm chiedono all’esecutivo, dopo aver tentato di salvare il salvabile con accordi e trattative, interventi di politica industriale e l’attivazione di un tavolo di confronto sulla crisi del settore che unifichi le singole vertenze aperte al ministero dello Sviluppo economico. Inoltre, per lottare conto le delocalizzazioni proclamano 8 ore di sciopero con manifestazione nazionale a settembre, in data ancora da definire.