C’è un problema che incombe sui referendum che si terranno l’8 e il 9 giugno. Anzi ce ne sono almeno tre. Il primo e più importante com’è è noto è il quorum, serve infatti che vada a votare almeno un elettore in più del 50 per cento degli aventi diritto, altrimenti i referendum non saranno validi. Ed è oggettivamente molto difficile che questo quorum venga raggiunto, visto anche che nelle ultime consultazioni popolari non lo è stato. Il secondo problema è la materia del contendere, quattro referendum su cinque vertono sul tema del lavoro e si prefiggono l’obiettivo – lo diciamo in sintesi – di ripristinare alcuni diritti dei lavoratori che sono stato aboliti nel corso degli anni, in particolare dal famoso jobs act voluto da Matteo Renzi quando era premier. Rivendicazioni che ognuno può giudicare come vuole, ma che non sarebbe male ripristinare viste le condizioni dei lavoratori che sono sempre più precarie. Peccato però che – come tutti i referendum – i quesiti siano scritti in estremo burocratese, quindi incomprensibili. Il quinto quesito è invece il più chiaro, sostanzialmente si propone di ridurre il tempo per ottenere la cittadinanza italiana da dieci a cinque anni, un progetto sacrosanto per i tanti immigrati che vivono e lavorano nel nostro Paese.
Mettiamoci pure il fatto, e questo è il secondo problema, che la Rai, ossia la televisione pubblica, non se ne occupi minimamente, che i giornali ne parlino pochissimo, che il governo quando ne parla inviti all’astensione (peraltro legittima nelle consultazioni che prevedono un quorum), e abbiamo già un quadro molto negativo che rischia fortemente di rendere il voto inutile, anzi dannoso. Oltretutto, giugno è un mese, se non ancora di vacanza, quanto meno di week end al mare, difficile quindi che milioni e milioni di persone rinuncino alla loro gita balneare per votare su questioni che neanche capiscono, quando non sono addirittura in totale disaccordo.
Ma il problema più importante e anche il più grave è il terzo, ed è politico, malgrado il fatto che i primi quattro referendum siano stati promossi dalla Cgil, di Maurizio Landini e non da uno o più partiti dell’opposizione. Tuttavia questi partiti, non tutti ma quasi, si sono uniti alla battaglia. Dal Pd di Elly Schlein (tranne la minoranza interna ancora fedele a Renzi e a quel che il governo da lui guidato fece, appunto il jobs act), fino alla sinistra di Avs passando per il Movimento di Giuseppe Conte. Ovviamente Italia viva e Azione di Calenda non sono in campo, tranne l’ex premier che comunque a votare ci andrà e voterà quattro no ai quesiti sul lavoro e un sì a quello quello sulla cittadinanza.
Ma il problema politico dipende proprio dall’esito del voto: si tratta infatti della prima sfida nazionale delle opposizioni al governo di Giorgia Meloni. Il che significa che se andasse male, se cioè il quorum non fosse raggiunto, sarebbe una sconfitta pesante per il centrosinistra. Una sconfitta che peserà sul futuro dell’alleanza – già di per sé piuttosto precaria – e sulla strategia politica in vista delle elezioni politiche quando ci saranno. Nella vita politica le sconfitte non solo non sono positive come è ovvio, ma lasciano strascichi pesanti e aprono polemiche e ferite molto profonde tra dirigenti dei partiti e soprattutto tra gli elettori. La disillusione che già pervade i cittadini, non a caso ormai vota meno del 50 per cento, la disaffezione verso la politica e i suoi leader, l’idea che “destra o sinistra, tanto non cambia nulla” è purtroppo sempre più radicata tra gli italiani, anche tra quelli che sono contro l’attuale governo.
Se allora i cinque referendum fossero un buco nell’acqua, questo buco non sarebbe indolore: ma costringerebbe i leader dell’opposizione a uno sforzo titanico per convincere e ri-convincere la maggioranza degli italiani a credere in loro. Un lavoro lungo e faticoso che avrà bisogno di molto tempo e di moltissime nuove idee. Che al momento non risultano pervenute. Si può sostenere allora che promuovere questi referendum sia stato un errore commesso dal leader della Cgil (che magari puntava a un proprio tornaconto personale, ovviamente politico)? E che essersi accodati a questa iniziativa da parte dei dirigenti del centrosinistra sia stato un errore ancora più grave, visto che alle elezioni saranno loro a dover combattere contro la destra e non Landini? Certamente si può dire, anche se resta la speranza di aver sbagliato le previsioni e che invece il quorum verrà raggiunto e i Sì vinceranno. D’altra parte la speranza è sempre l’ultima a morire, dunque visto il clima che si è creato con l’elezione del nuovo Papa non ci resta che sperare in Dio.
Riccardo Barenghi