di Gabriele Fava, Università di Roma Tor Vergata
In attuazione della direttiva comunitaria 2006/46/CE, è allo studio del Governo uno schema di decreto legislativo destinato ad introdurre una serie di importanti novità in materia di nota integrativa al bilancio. La riforma, infatti, impone alle società di dare pubblica evidenza, all’interno della nota integrativa, alle transazioni intercorse con quelle che sono definite in senso lato “parti correlate”. Chi siano le “parti correlate” il legislatore non lo spiega, dovendo farsi riferimento, allo scopo, allo Ias 24 che include nella definizione in questione anche i principali dirigenti ed i coniugi degli amministratori.
Relativamente a dette transazioni, la nota dovrà menzionare l’importo, la natura del rapporto ed ogni altra informazione necessaria per la comprensione del bilancio relativamente a tali operazioni, qualora le stesse siano rilevanti e non siano state concluse in normali condizioni di mercato.
Oltre a tali transazioni, la nota integrativa dovrà riportare i c.d. “accordi fuori bilancio”. Si tratta di accordi non risultanti dallo stato patrimoniale con riferimento ai quali la nota dovrà indicare la natura e l’obiettivo economico evidenziando il loro effetto patrimoniale, finanziario ed economico, a condizione che i rischi e i benefici da essi derivanti siano significativi e l’indicazione degli stessi sia necessaria per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico della società. In termini concreti, questi accordi, che la direttiva comunitaria definisce in senso lato transactions o agreements, sono stati individuati in accordi finalizzati alla costituzione di società veicolo e attività off-shore.
Ma è soprattutto la prima parte della riforma, relativa all’obbligo di divulgazione delle transazioni, a destare le maggiori perplessità. Il chiaro intento perseguito dal legislatore è quello di offrire ai terzi un quadro il più possibile trasparente e completo della situazione societaria ed infatti, in linea di principio, il citato intervento normativo, diretto a favorire il puntuale adeguamento da parte dell’Italia alle prescrizioni comunitarie, intende salvaguardare ed ampliare l’informazione di cui è destinatario il lettore della nota integrativa. I terzi, verrebbero a ricevere, per effetto della riforma, una serie di informazioni di indubbia rilevanza sulla reale situazione finanziaria della società senza necessità di doverle reperire da fonti indirette spesso inattendibili.
La maggiore trasparenza del sistema introdotta dalla normativa rende, quindi, più agevole agli investitori accertare l’effettiva situazione finanziaria della società. Un risultato che, la sola descrizione quantitativa e qualitativa delle componenti del patrimonio sociale, non è certamente in grado di offrire.
Un quadro completo della situazione finanziaria della società può, infatti, ottenersi solo se si conoscano gli eventuali rischi e vantaggi connessi alle predette transazioni e, da questo punto di vista, l’Europa affronta in netto ritardo rispetto agli Stati Uniti il problema dell’attività di investimento dei manager. I mercati finanziari americani, infatti, già da decenni hanno previsto l’accessibilità dei dati relativi alla transazioni intercorse tra le società e i c.d. insider. D’altro canto, molte sono le imprese che, anche in ambito italiano, hanno già adottato procedure per l’individuazione delle operazioni con parti correlate ed introdotto sistemi finalizzati a favorire i flussi informativi in conformità alle indicazioni della Consob enunciate nella comunicazione n. 2064231/2002.
Ora, se lo scopo di garantire la massima trasparenza in relazione alla predette transazioni è condivisibile ed era da tempo auspicabile un intervento legislativo sul tema, i termini utilizzati nel testo di legge sono, tuttavia, alquanto vaghi. L’esigenza di tutelare il diritto dei soci e degli investitori ad essere informati in modo chiaro e veritiero, obiettivo dichiarato del legislatore comunitario, avrebbe richiesto, in sede di attuazione, l’impiego di una terminologia più precisa e stringente. Molti dubbi, infatti, genera il tenore letterale delle riportate statuizioni: si parla di operazioni realizzate con parti correlate che abbiano un carattere rilevante e non siano state concluse in normali condizioni di mercato. Espressioni estremamente ampie e generiche suscettibili di dar luogo ad interpretazioni diverse da parte degli stessi operatori del settore. Lo schema di decreto riproduce pedissequamente i termini utilizzati nella traduzione italiana della direttiva 2006/46 trascurando di specificare il modo in cui la disposizione vada intesa nel contesto dell’ordinamento italiano.
È evidente, dunque, il fatto che il linguaggio utilizzato nello schema di decreto legislativo richiederebbe, in vista della sua eventuale approvazione parlamentare, una formulazione più precisa al fine di rendere sicura l’individuazione delle operazioni e degli accordi da segnalare necessariamente all’interno della nota integrativa.
Mancando l’indicazione da parte del legislatore di parametri oggettivi o contabili a cui fare riferimento per decidere se un’operazione sia rilevante o meno, come potrà stabilirsi se una data operazione vada inserita o meno all’interno della nota integrativa? E’ inevitabile, a questo proposito, che le imprese, in mancanza di criteri predeterminati a livello legislativo faranno ricorso alla prassi, applicando parametri elaborati a livello internazionale. Il rischio, però, in questo modo è che si pervenga a risultati diversi a seconda che le imprese applichino gli Irfs ovvero altri criteri elaborati e riconosciuti livello internazionale.
Che dire poi dell’espressione “normali condizioni di mercato”? Il riferimento va letto in rapporto al prezzo al quale l’operazione viene conclusa, per cui dovrà essere menzionata se il prezzo ecceda in ribasso o in rialzo rispetto ai prezzi del mercato, o in rapporto allo scopo per il quale l’operazione è compiuta? Sono tutti aspetti che necessitano di doverosi chiarimenti.
La riforma, inoltre, imponendo alle società la divulgazione delle transazioni stipulate, viene, di riflesso, a rendere di pubblico dominio dati, anche sensibili, dei dirigenti e degli amministratori coinvolti nelle predette transazioni.
Al riguardo, il legislatore non si è premurato di introdurre, accanto agli obblighi, anche delle quanto mai opportune cautele a tutela della privacy di questi soggetti. Non è prevista, infatti, né la necessità di un loro preventivo consenso alla divulgazione né una cernita delle informazioni con l’elisione, in particolare, dei dati sensibili. Il problema non è di poco conto se si pensa che, nel caso di importanti realtà aziendali, i dirigenti o gli amministratori potrebbero essere anche personalità di spicco o notorie sulla cui immagine pubblica la diffusione indiscriminata delle informazioni potrebbe avere riflessi negativi.
I potenziali investitori beneficerebbero di un livello di protezione comunque appropriato laddove la nota integrativa si limitasse a menzionare le varie transazioni ed accordi fuori bilancio senza, tuttavia, indicare i dati sensibili delle parti correlate. Riteniamo, infatti, che vi sia piena compatibilità tra l’obiettivo di dare agli investitori un’informativa accurata e completa e l’interesse alla riservatezza dei soggetti coinvolti.
Il diritto alla privacy, valore divenuto pressoché assoluto in tutti gli ambiti del diritto, anche quelli più marginali, non ammette una così grave disattenzione del legislatore. Pertanto, è legittimo aspettarsi che il legislatore precisi quali siano i dati strettamente necessari da indicare nella nota integrativa perché possano ritenersi ottemperati gli obblighi di legge.
Allo stato attuale, quindi, per i termini in cui è formulato, lo schema di decreto può essere considerato solo una prima bozza necessitante di doverose integrazioni e chiarimenti.
























