Non si è saputo molto dell’incontro che ha visto protagonisti nella serata di lunedì i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. E’ trapelato che si è parlato di primo maggio, cercando di arrivare a un accordo che consenta di celebrare questo avvenimento assieme, e che qualche forma di consenso è stata individuata. Non si sa con precisione nemmeno se l’argomento che doveva essere al centro del confronto, la rappresentanza, sia stato affrontato o meno. Un silenzio che non meraviglia, perché la distanza tra le centrali sindacali è andata crescendo pericolosamente in queste settimane e riprendere un contatto non solo è difficile, ma richiede un tatto e una capacità diplomatica fuori dal comune, anche se nessuno si nasconde l’opportunità di un ravvicinamento.
E’ vero forse che tutti e tre i segretari generali non avevano una gran voglia di incontrarsi e sciogliere i nodi che sono venuti aggrovigliandosi in questo tempo, ma sapevano bene di non avere alternative. Non parlandosi, non cercando di appianare i motivi di distacco, i problemi non possono che aggravarsi. Parlando, è il buon senso a dirlo prima dell’esperienza, le difficoltà possono perdere molta della loro virulenza, i compromessi possono diventare più facili.
In realtà alla base del disaccordo ci sono motivi di grande peso, che attengono alla stessa filosofia delle tre confederazioni, ma non si deve mai dimenticare la spinta unitaria che viene dal basso, dai lavoratori. Che capiscono fino a un certo punto le divisioni. Possono comprendere un disaccordo su un tema tecnico, quando sia opportuno insistere in un avanti braccio di ferro per un contratto o invece sia necessario fermarsi e accontentarsi di quanto ottenuto. Ma non capiscono che non ci si metta d’accordo sulle regole di fondo della vita sindacale, che è come si fanno i contratti, quando un’intesa deve essere considerata valida oppure no.
Queste divisioni di fondo, su temi più astratti, potevano essere reali quando il nesso con i partiti politici erano forti e inscindibili, perché allora erano le ideologie a farla da padrone e se c’era una differenza non era parlando tra sindacalisti che si potevano superare le diversità. Ma, almeno formalmente e si spera anche nella sostanza, quel legame con i partiti non c’è più, a parte il fatto che non ci sono più i partiti, almeno quelli ideologici di una volta. Adesso le confederazioni, libere dalle ideologie, dovrebbero trovare più facilmente la via dell’unità.
Hanno del resto una sollecitazione dalle loro stesse federazioni di categoria. Se le confederazioni si sono divise sul fronte dei contratti, nelle categorie ci si comporta in maniera molto diversa. Gli alimentaristi hanno presentato una piattaforma unitaria, i telefonici si sono divisi in maniera diversa da quanto è successo il 22 gennaio, i chimici della Cgil hanno preso l’impegno a fare il possibile per arrivare a una piattaforma e poi a un rinnovo contrattuale unitario. Le confederazioni allora avrebbero l’obbligo di cercare anche loro un’intesa, almeno sulle regole di fondo dello stare assieme, cioè sulla rappresentanza. La speranza è dunque che il confronto continui e che riesca se non a spegnere i focolai di disaccordo, almeno a stemperare il clima e consentire che la prossima stagione dei rinnovi contrattuali non sia tutto in perdita per il sindacato, quindi per i lavoratori.
Massimo Mascini
17 marzo 2009
























